L' accento proprio non ci sta su alcune parole , e questa lezione di grammatica italiana , che procederà con esempi ed esercizi , s...
L'accento proprio non ci sta su alcune parole, e questa lezione di grammatica italiana, che procederà con esempi ed esercizi, servirà proprio a fare il punto sull'argomento, proponendo consigli utili per evitare erroracci come quello dell'immagine (il verbo "stare" non vuole l'accento) e, soprattutto, per distinguere questo tratto soprasegmentale dall'apostrofo. Partiamo da un assioma elementare e intuitivo, che il più delle volte vi permetterà di assegnare gli accenti in modo corretto: l’accento va posto sulla vocale della sillaba pronunciata con maggiore intensità rispetto alle altre.
Facciamo subito qualche esempio:
(A) Perché
(B) Giacché
(C) Poté
(D) È
(E) Attaccò
(F) Finì
(G) GiocherÃ
Queste sono parole tronche, accentate, cioè, sull’ultima sillaba, e non sono molto difficili da individuare; l’unico importantissimo accorgimento da seguire riguarda la differenza tra accento acuto (quello della parola “perché”) e grave (quello della terza persona del verbo "essere", “è” per l'appunto). Il primo indica che la vocale è chiusa; il secondo, che è aperta; fanno riferimento, quindi, a una differente pronuncia, che, comunque, non compromette la comprensione del discorso; ecco perché, se non volete pronunciare in modo diverso le parole, a seconda del tipo di accento, sentitevi liberi di farlo.
Siate accorti, però, nel renderle correttamente a livello grafico: "poté" si scrive così, e non come "potè", per dirla con un esempio. Come fare per individuare quali parole vogliono l’accento acuto e quali, invece, quello grave? Nulla di così complicato, almeno per le tronche. L’accento acuto va su:
- I composti di -che: “perché”, “poiché”, “giacché”, “alcunché”, “nonché” etc…
- I composti di -tre: “ventitré”, “trentatré”, “quarantatré” etc…
- La terza persona dell'indicativo passato remoto di questo tipo: “poté”, “batté”, “temé” etc…
L'accentazione all’interno di parola non è rilevante ai fini del nostro discorso, visto che è presente soltanto in pochissimi casi in italiano (ed è anche facoltativa, tra l'altro); basti pensare, per esempio, a "à ncora" e "ancòra" e così via.
L’accento ha una funzione molto importante nei cosiddetti "omografi", parole che, pur avendo significati diversi, si scrivono allo stesso modo. Partiamo sempre da qualche esempio:
(A) Pensa solo a sé e a nessun altro
(B) Se avesse fatto quella cosa, sarebbe successo l’irrecuperabile
Come vedete, nella frase (A) “se” è accentato; nella frase (B), no. Eppure, le parole sono uguali nella grafia. Perché l’una vuole l’accento e l’altra no? Semplicemente perché la prima è un pronome personale; la seconda, una congiunzione che introduce un periodo ipotetico. Hanno, insomma, due funzioni grammaticali completamente diverse; funzioni la cui differenza emerge proprio con l'utilizzo o meno dell'accento.
I seguenti sono tutti i casi di omografia che potrebbero presentarvisi:
ACCENTO | Esempio | NO ACCENTO | Esempio |
“dà ” verbo | Lui dà le penne. | “da” preposizione | Da quanto tempo! |
“dì” nome | Un dì lo incontrai. | “di” preposizione | Di che pasta sei fatto? |
“è” verbo | Non è lui. | “e” congiunzione | Questo e quello, dici? |
“là ” avverbio | Non è là , ma qui. | “la” articolo | La casa non è quella! |
“lì” avverbio | Non è lì, ma qui. | “li” pronome pers. | Li voglio tutti adesso! |
“né” congiunzione | Né questo né quello! | “ne” pronome | Non ne voglio! |
“sé” pronome | Pensa solo a sé | “se” congiunzione | Se vuoi, fa’ pure. |
“sì” avverbio | Sì, è stato lui! | “si” particella pron. | Si lava ogni giorno. |
“tè” nome | Voglio del tè! | “te” pronome | Lo vuoi te? |
In tutti gli altri – vedi po’ e non *pò; fa e non *fà etc… – l’accento non va assolutamente indicato, e non perché sia facoltativo, ma perché o serve l'apostrofo o rappresentano fenomeni che non hanno nulla a che vedere con l'accentazione.
Prima di concludere, vale la pena soffermarsi su una questione non meno importante delle precedenti. Partiamo da questa frase:
(A) Sai già tutto? Perché non scendi giù a dare la buona notizia?
Notiamo che “già ” e “giù” sono accentati, pur non avendo una “controparte” omografa. Il motivo è presto spiegato: se non ci fosse stato l’accento, li avreste letti con l’accento sulla i e non sulla a e sulla u. L’accento sull’ultima sillaba, infatti, è obbligatorio: se non ci fosse, nessuno lo leggerebbe. Lo stesso discorso vale per le parole: “chiù”, “ciò”, “più”, “può” e “scià ”.
Fatte queste doverose precisazioni, arriverete senz'altro a una conclusione: eccetto questi casi, i monosillabi, vale a dire le parole costituite da una sola sillaba, non voglio l’accento, né grave, né acuto.
Per completezza, vi riporto la classificazione delle parole in base alla posizione dell’accento:
- Tronche od Ossitone, dove l’accento va sull’ultima: “virtù”, “giocò”, “poté”, “finì”;
- Piane o Parossitone, con l’accento sulla penultima: “befana”, “fontana”, “prima”;
- Sdrucciole o Proparossitone, con l’accento sulla terzultima: “terzultima”, “fenomeno”, “termometro”;
- Bisdrucciole, dove l’accento va sulla quartultima: “fabbricano”, “modificano” etc…