L’ accento italiano viene indicato graficamente solo in alcuni casi, grave (è) o acuto (é) che sia. Tutte le parole della lingua italian...
L’accento italiano viene indicato graficamente solo in alcuni casi, grave (è) o acuto (é) che sia. Tutte le parole della lingua italiana, insomma, hanno un accento - indicando quest'ultimo una vocale emessa con maggiore forza espiratoria -; non in tutti i casi, però, questo deve figurare ("giocare", per esempio, ha l'accento sulla "a" tematica, ma nessuno si sognerebbe mai di indicarlo). Qui di seguito, dopo aver presentato i casi in cui l'accento va indicato obbligatoriamente, cercheremo di fornire consigli utili sulla distinzione fra accento grave e accento acuto.
Per quanto riguarda le parole tronche, l'accento va sulla vocale finale. Sono esempi di forme tronche parole come: "fermò" "giocò" "attestò" "perché" "cioè" "affinché" "finì" "giù" "già " "ventitré" "trentatré" "poté" e via dicendo.
L'accento può essere indicato o meno - sarebbe preferibile soltanto nei contesti in cui una sua omissione renderebbe difficile la comprensione del significato delle parole - su quei termini che, omografi (vale a dire scritti nella stessa maniera ma con significati diversi), cambiano accezione in base alla posizione dell'accento; per esempio, "à ncora" "ancòra".
Avrete sicuramente notato che alcune delle parole precedentemente elencate portano l’accento grave ("attestò", "cioè", "finì" etc…); altre, invece, l’acuto ("affinché" e "perché"). Esistono delle semplici regole per capire quale accento utilizzare.
Accentazione di -e
- L'accento acuto va anche sulle forme di passato remoto simili a "poté" "batté" e via dicendo;
- Per alcuni monosillabi come "sé" "né" e così via, non vi basterà sapere
soltanto che serve l'accento acuto; bisogna consultare, per forza di
cose, questo speciale sui monosillabi;
- Tutte le altre parole uscenti in -e (tonica, quindi accentata) vogliono l’accento grave; scriveremo, quindi, "cioè", "frappè", "è", "tè", "caffè" e via discorrendo.
Accentazione di -o
- La -o vuole sempre l’accento grave. Scriveremo, dunque, "portò", "giocò", "coccolò", "asportò" etc;
- C'è un numero molto esiguo di parole, come "ahó", che vuole, invece, l’accento acuto.
Accentazione di -a, -i, -u
Per queste vocali la differenza tra accento acuto e grave non conta: paradossalmente potreste scriverle, prendendo però una posizione ben precisa (e, cioè, decidendo se optare sempre per il grave o sempre per l'acuto), in tutti e due i modi; scriveremo, dunque, "città ", "falsità ", "meschinità ", "finì", "gioì", "sentì", "giù" e così via, senza allamarci, però, dinanzi a forme come "giú".
Tale situazione è presto spiegata: le vocali italiane accentate sono sette; non soltanto, quindi, -a -i -u, ma anche le due -e e le due -o (come figura in questo triangolo vocalico). Pare evidente, insomma, che le prime tre non hanno bisogno di essere distinte; le ultime, invece, sì.