Immanuel Kant studiò attentamente la morale dell’uomo e ne individuò ben due motivi scatenanti: parte di questa morale dipendeva dalla...
Immanuel Kant studiò attentamente la morale dell’uomo e ne individuò ben due motivi scatenanti: parte di questa morale dipendeva dalla società; l’altra, invece, era radicata nell’animo umano, cioè non gli era stata indottrinata. La 'prima' morale seguiva quello che il filosofo chiamò ‘imperativo ipotetico’; la 'seconda', invece, l’‘imperativo categorico’: due volontà molto differenti fra loro, che offrono all’uomo due strade da seguire, simili solo per alcuni tratti.
Gli ‘imperativi ipotetici’ causano nell'individuo una forzatura nel comportamento, per renderlo conforme alla legge, che può essere quella della società, come quella della religione, che spesso e immancabilmente si intrecciano tra loro. Può essere espresso con una semplice formula: ‘Se vuoi A devi fare B’. Se per esempio si desidera diventare ‘cittadini-modello’, bisogna seguire alla lettera ogni singolo comando, senza sbagliare mai; solo seguendo correttamente questa strada si potrà raggiungere il fine prefissato. Proprio così! L’‘imperativo ipotetico’, secondo Kant, porta sempre all'obiettivo ultimo desiderato. Avviene, dunque, una forzatura nel comportamento, poiché si assume un 'impegno' rinunciando, molto spesso, a ciò che si vorrebbe realmente fare. Questo imperativo, perciò, non è uguale per tutti: gli anarchici, per fare un esempio, non potrebbero mai essere degli ottimi cittadini in società; non sarebbero tali, altrimenti.
Passiamo ora all''imperativo categorico’. A differenza del primo, esso non viene partorito da nessuna forma di autorità, non regola la vita dell’uomo con leggi scritte o orali; non è vincolato, quindi, a tutto ciò che l’uomo ha costruito, anche se proviene direttamente da lui. Cosa vuol dire? Che l’imperativo categorico’ è universale, comune a tutti gli uomini, inteso da loro nella stessa maniera, è un ‘devi perché devi’, non un ‘devi perché vuoi’: ‘devi fare questo perché devi puntare al bene (universale)’, e non: ‘devi fare quello perché vuoi raggiungere solo i tuoi obiettivi’. Potrebbe essere espresso così: ‘Agisci in modo che la massima della tua azione (soggettiva) possa diventare legge universale (oggettiva)’.
La vera legge morale non dice: ‘fai il bene’, come se fosse una costrizione, ma ‘segui la legge morale’, che porta sempre al bene. L’imperativo, perciò, non si esprime nel contenuto dell’azione, ma nella sua forma (‘obbedisci alla legge morale’). È questo il cosiddetto ‘formalismo kantiano’.