I verbi difettivi mancano di una o più voci del paradigma verbale, per esempio del participio passato, molto utilizzato per i tempi composti. Qui una interessante e utile lista
Il participio passato dei verbi si forma aggiungendo alla loro radice una desinenza particolare, che varia a seconda che si tratti di prima, seconda o terza coniugazione (quello di "mangiare", sarà "mangiato"; quello di "volere", "voluto"; quello di "agire", infine, "agito"). Esistono, però, verbi la cui coniugazione non si presenta come ci aspetteremmo; sono, per esempio, suppletivi o difettivi; in quest'ultimo caso, le voci sono addirittura assenti: il participio passato di "splendere", per dirne una, non esiste; o meglio, è esistito un tempo: si tratta di "splenduto" e, come potete ben vedere, non è affatto irregolare (perché termina in -uto, come la maggior parte dei verbi di seconda coniugazione).
I casi sono tanti e l'Accademia della Crusca, fondata nel 1582 e importantissima realtà di riferimento per la lingua italiana, la sua storia e i suoi sviluppi - è nota per aver realizzato anche un vocabolario, che però si è fermato all'edizione del 1923 con la lettera "o" - ha passato in rassegna proprio tutti quei verbi che non hanno (più) la voce participiale; "caputo", per esempio, era il passato di "capére", verbo caduto in disuso oggi, ma usato all'epoca, per esempio da Pucci:
"… Vide di loro penne alcuna ch’era lunga dodici passi e per lo bucciolo d’essa sarebbe caputo uno grosso uovo di struzzolo...".
Anche "delinquere" aveva come participio passato una forma che oggi nessuno si sognerebbe mai di utilizzare: "delinquìto"; la testimonianza fornita dalla Crusca è tratta dall'opera del neoclassicista Vincenzo Monti:
"Monsignore è sicuro di andare a far qualche settimana d’esercizio ai Monaci della polveriera, che è la solita penale che si dà ai prelati quando hanno delinquito in qualche cosa".
Ma i casi sono tanti: "esimere - esento", "espandere - espanso" (oggi utilizzato), "mescere - mesciuto" (utilizzato anche questo), "pendere - penduto", "permanere - perman(s)o", "recere - reciuto", "risplendere - risplenduto", "soccombere - soccombuto" etc.
Qualora non doveste ricordare i participi, insomma, non disperate e controllate bene che siano effettivamente utilizzabili oggigiorno.
I casi sono tanti e l'Accademia della Crusca, fondata nel 1582 e importantissima realtà di riferimento per la lingua italiana, la sua storia e i suoi sviluppi - è nota per aver realizzato anche un vocabolario, che però si è fermato all'edizione del 1923 con la lettera "o" - ha passato in rassegna proprio tutti quei verbi che non hanno (più) la voce participiale; "caputo", per esempio, era il passato di "capére", verbo caduto in disuso oggi, ma usato all'epoca, per esempio da Pucci:
"… Vide di loro penne alcuna ch’era lunga dodici passi e per lo bucciolo d’essa sarebbe caputo uno grosso uovo di struzzolo...".
Anche "delinquere" aveva come participio passato una forma che oggi nessuno si sognerebbe mai di utilizzare: "delinquìto"; la testimonianza fornita dalla Crusca è tratta dall'opera del neoclassicista Vincenzo Monti:
"Monsignore è sicuro di andare a far qualche settimana d’esercizio ai Monaci della polveriera, che è la solita penale che si dà ai prelati quando hanno delinquito in qualche cosa".
Ma i casi sono tanti: "esimere - esento", "espandere - espanso" (oggi utilizzato), "mescere - mesciuto" (utilizzato anche questo), "pendere - penduto", "permanere - perman(s)o", "recere - reciuto", "risplendere - risplenduto", "soccombere - soccombuto" etc.
Qualora non doveste ricordare i participi, insomma, non disperate e controllate bene che siano effettivamente utilizzabili oggigiorno.