Ma si scrive "apparte" o "a parte"? Qual è la forma corretta di questa locuzione oppure entrambe sono intercambiabili?
Ma si scrive "apparte" o "a parte"? La risposta è semplice, anche se il GRADIT, Grande Dizionario Italiano dell'Uso, potrebbe spingervi ad accettare entrambe le forme come corrette. Quando un dizionario propone entrambe le alternative come giuste, lo fa perché sia l'una sia l'altra sono entrate nell'uso e quando ciò accade, cioè quando i parlanti avvertono le forme come parimenti utilizzabili, in linea di massima è difficile intervenire con dei divieti (la lingua non va mai intesa, infatti, come un insieme di regole da rispettare, ma come il frutto degli usi di una comunità che possono cambiare nel tempo, in maniera comunque coerente); il caso, comunque, non è questo, perché è vero che il GRADIT considera la forma "apparte" esistente, ma è parimenti vero che è registrata come letteraria.
Quella che molti credono sia una parola unica, in realtà, è costituita da due termini, la preposizione semplice "a" e "parte", che assieme formano una locuzione, gruppo di parole che assume la funzione di una parola sola ("nonostante che", per esempio, è una locuzione congiuntiva che ha lo stesso significato di "nonostante"). Come se non bastasse,
Quella che molti credono sia una parola unica, in realtà, è costituita da due termini, la preposizione semplice "a" e "parte", che assieme formano una locuzione, gruppo di parole che assume la funzione di una parola sola ("nonostante che", per esempio, è una locuzione congiuntiva che ha lo stesso significato di "nonostante"). Come se non bastasse,
L'univerbazione dipende da un fenomeno fonetico definito "raddoppiamento fonosintattico": ci sono parole, per essere più precisi, che rendono la pronuncia della consonante successiva molto più forte; non si dice, infatti, [a parte] ma [ap'parte], come se p fosse una doppia: ecco perché nello scritto si è portati a rendere le due parole con una sola.
Cos'è il raddoppiamento fonosintattico?
Il raddoppiamento fonosintattico è un fenomeno che interessa la pronuncia toscana e centro-meridionale (fatta eccezione per le aree che appartengono linguisticamente all'Italia Settentrionale, come le Marche Nord); non riguarda, perciò, il Settentrione. Essendo la variante toscana (fiorentina, in particolar modo) alla base del nostro idioma, è un elemento imprescindibile per una buona pronuncia (infatti è uno degli argomenti principali dei corsi di dizione).
Causato da parole tronche, monosillabi forti ("che", "a", "tra", "fra" etc...) e da molti altri termini ("come", "dove", "qualche", "sopra" etc), questo fenomeno ha portato a non pochi cambiamenti a livello morfologico; pensate, per esempio, alla parola "soprattutto", prima resa come "sopra tutto", all'interno della quale è stato "sopra" a generare la geminazione (o raddoppiamento) della consonante. Riprendiamo i punti salienti del discorso del linguista Luca Serianni in Lezioni di grammatica storica italiana:
"Il fenomeno non è registrato dalla grafia, a meno che le due parole non siano scritte unite, essendo percepite come una parola sola [...] ed è sconosciuto nell'Italia settentrionale, nei cui dialetti le consonanti intense originarie tendono a diventare tenui (MAMMA > mama, BELLUM > bello). Parlando italiano, un settentrionale [...] stenta a far sua una pronuncia come [ak'kasa], non riscostruibile dalla scrittura (e, aggiungiamo noi, non dotata ai suoi orecchi di prestigio sociolinguistico)".
Riguardo ai casi in cui il raddoppiamento si verifica, Serianni scrive che "da un punto di vista descrittivo (senza tenere conto cioè dell'evoluzione storica) osserveremo che il raddoppiamento fonosintattico si produce in tre casi fondamentali [...]: a. Dopo un monosillabo cosiddetto "forte" [...] e di diverse forme disaccentate: a, che, chi [...], tu e qualche altra. b. Dopo un qualsiasi polisillabo ossitono: virtù somma [virtus'somma] [...] c. Dopo le parole barìtone (cioè non accentate sull'ultima sillaba) come, sopra, dove, qualche".
Causato da parole tronche, monosillabi forti ("che", "a", "tra", "fra" etc...) e da molti altri termini ("come", "dove", "qualche", "sopra" etc), questo fenomeno ha portato a non pochi cambiamenti a livello morfologico; pensate, per esempio, alla parola "soprattutto", prima resa come "sopra tutto", all'interno della quale è stato "sopra" a generare la geminazione (o raddoppiamento) della consonante. Riprendiamo i punti salienti del discorso del linguista Luca Serianni in Lezioni di grammatica storica italiana:
"Il fenomeno non è registrato dalla grafia, a meno che le due parole non siano scritte unite, essendo percepite come una parola sola [...] ed è sconosciuto nell'Italia settentrionale, nei cui dialetti le consonanti intense originarie tendono a diventare tenui (MAMMA > mama, BELLUM > bello). Parlando italiano, un settentrionale [...] stenta a far sua una pronuncia come [ak'kasa], non riscostruibile dalla scrittura (e, aggiungiamo noi, non dotata ai suoi orecchi di prestigio sociolinguistico)".
Riguardo ai casi in cui il raddoppiamento si verifica, Serianni scrive che "da un punto di vista descrittivo (senza tenere conto cioè dell'evoluzione storica) osserveremo che il raddoppiamento fonosintattico si produce in tre casi fondamentali [...]: a. Dopo un monosillabo cosiddetto "forte" [...] e di diverse forme disaccentate: a, che, chi [...], tu e qualche altra. b. Dopo un qualsiasi polisillabo ossitono: virtù somma [virtus'somma] [...] c. Dopo le parole barìtone (cioè non accentate sull'ultima sillaba) come, sopra, dove, qualche".
Per tornare ad "apparte" o "a parte", il consiglio è di rendere la locuzione con grafia separata e non univerbata, perché la resistenza della comunità a un tale uso è ancora molto forte.