"Si" o "sì"? L'accento è necessario o può anche essere omesso? Ecco una semplice guida
Il primo, infatti, è una particella pronominale con valore riflessivo e va scritto rigorosamente senza accento; il secondo, invece, può assumere diverse funzioni a seconda del contesto, anche se ha generalmente valore di avverbio affermativo e va scritto con l'accento in tutti i casi.
L'uso dell'accento, insomma, non è arbitrario: come indicato nel nostro approfondimento, esso viene utilizzato non soltanto per indicare che una parola è tronca (cioè accentata sull'ultima sillaba), ma anche per distinguere gli omografi.
Quando "si" vuole l'accento
Procediamo con degli esempi: il Sabatini-Coletti, oltre alla funzione del "sì" affermativo, indica gli altri valori dell'avverbio in questo modo:"1 Così (anche in correlazione con come): “Come le pecorelle escon del chiuso/[…] sì vid'io muovere a venir la testa/di quella mandra” (Dante). 2 Tanto, talmente (anche in correlazione con come): “Sì dolce, sì gradita/quand'è, com'or, la vita?” (Leopardi) || fare sì che, introduce una frase consecutiva-finale: la sua presenza ha fatto sì che si raggiungesse l'accordo".
La parola può assumere anche la funzione di congiunzione:
"In correlazione con un altro sì, con che o come, ha valore di “sia… sia”, “sia… che”: “grande sì per costruzione, […], sì per l'ordine del sermone, […], sì per lo numero de le sue parti” (Dante)
In questi casi, è indiscutibile che "sì" voglia l'accento; nei casi precedentemente analizzati, no: pensiamo a esempi come "si sta lavando", "non si sta facendo aiutare da nessuno", "ci si ferma col semaforo rosso, punto!" e così via.
L'Accademia della Crusca a tal proposito è chiarissima:
"Sì è l’avverbio e si il pronome e la nota musicale".