Cos'è il discorso indiretto libero e com'è possibile riconoscerlo? Questa guida, con esempi tratti da Giovanni Verga e la sua opera, vi sarà senz'altro d'aiuto.
Spie di discorso indiretto libero si trovano anche in alcuni testi precedenti a Giovanni Verga, però è lo scrittore siciliano che nel romanzo I Malavoglia e in tutto il suo ciclo dei vinti (ma non solo) ne offre chiari e indiscutibili esempi.
Partiamo da questo passo (dove corsiveremo solo tutti gli elementi che fanno pensare a quello che si abbrevia generalmente con DIL):
"Dopo la mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuoterne le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio, e i giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore che vi lascia andare un colpo di mare tra capo e collo, come una schioppettata fra i fichidindia"
Nel discorso rivissuto notiamo che il punto di vista dell'autore tende a lasciare spazio, ad essere quasi sovrastato, o meglio: a identificarsi, con quello del personaggio, che può corrispondere al popolo e alla sua voce (come in Verga), al protagonista e non solo.
Le tracce del discorso indiretto libero vanno individuate molto spesso
nella punteggiatura, caratterizzata da puntini di
sospensione, punti esclamativi e interrogativi; nel suo Italiano in
prosa, però, il linguista Luca Serianni scrive - proprio in merito a questo testo - che va presa in considerazione pure l'ottica del discorso,
"che è quella tipica dell'ambiente popolare di Trezza", e in, effetti,
Verga è interessato a far emergere la voce del popolo: si pensi
ad espressioni come "i gatti del paese", "i buoi della fiera" e, soprattutto, all'immaginario religioso che, ovviamente, caratterizza qualsiasi popolazione (quindi a "il diavolo", "l'anima
di Giuda"); che dire, infine, del sintagma "i fichidindia"?
Ma vediamo un altro esempio di discorso indiretto libero, questa volta tratto da Mastro Don Gesualdo, prima di metterne in evidenza nuovi tratti:
"Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba! Ragazzetto... gli sembrava di tornarci ancora, quando portava il gesso dalla fornace di suo padre, a Donferrante!"
Notiamo che a un certo punto del discorso l'autore utilizza espedienti di vario tipo (interpunzione e lessico, soprattutto), per dare la parola ai suoi personaggi: le due voci - la sua e quella dei protagonisti - tendono a sovrapporsi. In questo caso, per esempio, notiamo che dopo "piacevoli" inizia un lungo discorso indiretto libero, perché "la sintassi - spiega il linguista Claudio Marazzini nel suo La lingua italiana. Profilo storico -, là dove si innesta il discorso [...], si presta ad effetti stilistici diversi".
Nel brano tratto dai Malavoglia, troviamo i punti esclamativi a mettere in evidenza una solidarietà così forte con ciò che veniva raccontato da far quasi pensare che sia il personaggio stesso a parlare; pensate a "gli sembrava di tornarci ancora, quando portava il gesso dalla fornace di suo padre, a Donferrante!": è palese, insomma, che vi sia una certa insistenza su strutture che rendono - come imponeva il principio verista dell'impersonalità - lo scrittore invisibile (ma sempre presente, perché è lui l'artefice di tutto) e il personaggio onnipresente.
Il discorso indiretto libero non trova spazio solo in Verga, ma si può dire con certezza che è con lo scrittore siciliano che si definisce nelle sue strutture, non senza liberare la sintassi - e questo non riguarda solo Verga - da una subordinazione eccessiva, tanto cara alla prosa letteraria italiana, figlia - è indiscutibile - della complessa ipotassi boccacciana.