Riassunto e temi principali della scuola poetica siciliana, sorta fra il 1230 e il 1250 a corte di Federico II di Svevia
È all’interno del contesto della Magna Curia di Federico II di Svevia che va inserita la Scuola siciliana. Per la prima volta, la scrittura non viene più impiegata solo per usi pratici o religiosi, ma come vera poesia artistica, che ha come solo fine il diletto estetico. I poeti della scuola siciliana impiegano il volgare locale, nobilitato, al posto della lingua d’oc, come si era invece fatto fino a quel momento.
I poeti della scuola siciliana
La cultura di corte, che possiamo datare tra il 1230 e il 1250, era di certo plurilingue e si sviluppava in molteplici temi e interessi: per questo motivo la scelta di usare il siciliano va intesa come perfettamente consapevole. Gli esponenti principali della scuola sono Iacopo da Lentini, Pier della Vigna, Cielo d’Alcamo, Guido delle Colonne e lo stesso Federico II: si tratta solitamente di figure di corte, ad esempio notai (Iacopo da Lentini è definito appunto da Dante il “Notaro”), che concepiscono la scrittura come momento separato dalla serietà della gravitas di corte e non ancora come vocazione unica della propria esistenza.
I temi della scuola poetica siciliana
I poeti riprendono fedelmente il modello provenzale, anche laddove esso non sia pertinente con il contesto: per esempio, la donna nobile è esaltata per il pallore della sua pelle e per i capelli biondi, tratti somatici non proprio tipici del Sud Italia. I temi sono quelli dell’amore cortese, totalmente stilizzato in poche forme ripetute e stereotipate e privati di riferimenti reali all’esperienza che i poeti vivevano: come a dire che poesia e vita non devono necessariamente essere parallele, anzi. Il tema unico, ossessivamente ripetuto e rimodulato, è quello dell’amore cortese. L’unica vera novità , oltre appunto all’uso della lingua, è l’introduzione della forma del sonetto, introdotto secondo la tradizione da Iacopo da Lentini.
La rima siciliana e i testi della scuola poetica
Possediamo ad oggi pochissimi testi originali della scuola siciliana, poiché essi ci sono stati tramandati da copisti fiorentini, che hanno “tradotto” il dialetto locale nella lingua che loro conoscevano meglio. Si è così creata la rima siciliana. Nei testi originali, infatti, parole come “aviri” e “serviri” rimavano tra loro: traslitterate, però, esse diventano “avere” e “servire”. Secondo la rima siciliana, quindi, in italiano è possibile rimare la e chiusa con la i, la o chiusa con la u e la e atona finale con i (si veda qui lo schema del vocalismo italiano).
Uno dei pochissimi testi pervenutici integri è Pir meu cori allegrari di Stefano Protonotaro. Uno dei testi più famosi e significati, invece, è Amore è un[o] desio di Iacopo da Lentini, in cui l’autore spiega in modo filosofico e molto preciso il modo in cui si manifesta l’amore:
“Amore è uno desio che ven da’ core / per abondanza di gran piacimento; / e li occhi in prima generan l’amore / e lo core li dà nutrica mento".
Interessante è pure, per ritrovare gli stilemi di cui sopra si è detto, Io m’aggio posto in core a Dio servire, in cui emerge la figura di una donna “c’ha blonda testa e claro viso”.