Riassunto dello stilnovismo e panoramica su autori e temi della scuola poetica, con riferimento soprattutto a Dante Alighieri e Guido Guinizelli. Problemi critici di letteratura italiana
In questo riassunto dello stilnovismo saranno trattati autori e temi di un periodo della letteratura italiana che, pur con le dovute differenze, non si discosta notevolmente da quello precedente.
Partiamo dalle definizioni. "Stilnovisti" sono quei poeti, o quei testi, che rifiutano nettamente il modello di Guittone e preferiscono uno stile limpido e piano. Il tema centrale è sempre l'amore, come nella letteratura precedente: si dà grande importanza all’interiorità dell’amante, anche attraverso l’impiego della componente intellettuale, e quindi la scomposizione filosofica dell’atto d’amore.
"Amore" diventa sinonimo di gentilezza, cioè di una qualità naturale che non deriva dalla condizione di nascita e che non è, dunque, prerogativa dell’aristocrazia. La nobiltà d’animo coincide infatti con l’amore fine, puro, spiritualmente elevato; ne deriva una ben precisa immagine della donna, che appare come un angelo, come una portatrice di beatitudine.
Sarà poi Dante a recuperare il significato di beatitudine in un senso più cristiano e con lui Beatrice sarà il tramite che conduce a Dio, mandata sulla terra per essere guida che porta alla beatitudine (come il suo nome, per altro, rivela): ma a questo punto lo stilnovismo sarà solo un ricordo, e mentre Dante salirà verso il Paradiso i suoi amici, e Guido Guinizzelli con loro, saranno ancora a purificarsi tra le fiamme del Purgatorio.
Guido Guinizzelli e gli autori dello stilnovismo
La scuola poetica dello stilnovismo nasce, quindi, dalla volontà di creare una corte di eletti, di spiriti elevati che si distinguono per la loro alta cultura e per il disprezzo dei villani, parlando d’amore con un linguaggio del tutto nuovo: il dolce stil novo, appunto.
Il manifesto, per così dire, della nuova tendenza poetica è di solito considerato la canzone di Guinizzelli Al cor gentil rempaira sempre amore; l’essenziale, in ogni caso, si può trovare anche nel sonetto Io voglio del ver la mia donna laudare, lì dove nelle terzine scrive:
Passa per via adorna, e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ‘l de nostra fé se non la crede;
e no lle pò apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om pò nal pensar fin che la vede.
La donna possa, e tramite il suo saluto trasforma l’orgoglio in gentilezza, creando così la virtù. La viltà d’animo, invece, è bandita e l’uomo vile neppure può avvicinarsi alla donna.
Il termine “dolce stil novo” è però, senza dubbio, uno dei più grandi inganni della storia della letteratura italiana. La formula, inventata da De Sanctis, fa riferimento a un passo della Commedia: nel canto XXIV del Purgatorio, Dante incontra il rimatore Bonagiunta Orbicciani, coevo di Guido Guinizzelli, che riconosce il poeta come colui che ha scritto Donne ch’avete intelletto d’amore.
Dante risponde d’essere una persona completamente a disposizione dell’Amore, e di scrivere secondo i suoi dettami:
I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando.
A questo punto Bonagiunta esclama:
O frate, issa vegg’io […] il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!
Ossia, ora comprende qual è il nodo che l’ha tenuto distante dal nuovo stile. Povero, povero Bonagiunta… “issa”, cioè adesso, comprende, e nel farlo usa una becera espressione dialettale. Come a dire, seguendo Dante, che in fin dei conti non ha proprio capito nulla, o che ha compreso solo parzialmente.
Lo stilnovismo è mai stata una scuola poetica?
In ogni caso, qui troviamo l’espressione che ci interessa, quel “dolce stil novo” di cui abbiamo parlato. Ma proprio qui potrebbe anche nascere e finire la questione: la frase di Bonagiunta, infatti, potrebbe anche essere letta come “dal dolce stil ch’i’ odo novo”, ossia non come una definizione di un “nuovo stile”, ma come un semplice predicativo dell’oggetto.
In ogni caso, l’espressione è rimasta: ma un critico, Francesco Flora, ha fatto notare che il dolce stil novo non è altro che una scuola inventata dai posteri. Cinque sono, infatti, i suoi esponenti: Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni, Dante Alighieri stesso.
Sfogliando i manuali di letteratura, però, viene osservato che in realtà Guinizzelli è un pre-stilnovista; che Cavalcanti non presenta le tematiche tipiche della scuola; che Lapo Gianni, in fondo, era un poeta dilettante, certo molto amico di Dante (avrebbe infatti, a suo dire, raggiunto la vulgaris excellentia); e Dante, infine, è cronologicamente troppo tardo per essere davvero considerato uno stilnovista, e va dunque inteso come colui che ha riconosciuto l’essenza del movimento, trasformandone però alcune tematiche secondo un interesse precipuo, che potremmo definire religioso. Rimane Cino da Pistoia, il vero stilnovista: ma un poeta è troppo poco per parlare di una scuola!
Dobbiamo allora, arrivati a questo punto, considerare un ulteriore elemento: esiste, questa sì, l’adesione a un modello preciso, che non si deve però intendere come scuola poetica, ma come appunto modello tematico e, ed è questa la novità , linguistico.