Guida all'interpretazioni dei personaggi principali del Purgatorio di Dante: cosa si nasconde dietro ai volti della seconda cantica della Commedia?
Ricordiamo, inoltre, tutte le informazioni sulla seconda cantica della Divina Commedia sono disponibili seguendo questo link.
Catone Uticense all'entrata del Purgatorio (canti I, 28-108 e II, 118, 123)
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Per quanto riguarda la figura, è stato giustamente notato che Catone non solo era un pagano, ma anche un suicida (come Virgilio stesso ricorda); tuttavia Dante vuole qui sottolineare lo spirito di Catone e, appunto, il senso della libertà , per dare un segno molto chiaro in un canto interamente impostato sul tema della resurrezione dal male dell’Inferno.
L'incontro con Casella (canto II, 76-117)
Casella intona una canzone di Dante, Amor che ne la mente mi ragiona; tale episodio va ricondotto al lungo cammino di consapevolezza iniziato con l’incontro con Francesca da Rimini, poiché il poeta comprende che la nuova poesia della Commedia deve rinunciare all’aspetto della lode dell’amore così presente nella sua prima produzione.
Pia de' Tolomei nel canto V del Purgatorio (vv. 130-136)
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Il suo affetto e la sua cortesia vanno appunto letti in contrasto con la violenza e la forza dei due protagonisti del canto, Iacopo del Cassero e Bonconte da Montefeltro; ma anche, in lontananza, in opposizione a Francesca, che aveva dominato l’avvio dell’Inferno. Anche Pia viene uccisa dall’amore, in circostanze che ci sono poco chiare; eppure riduce la narrazione della sua esistenza a un breve soffio, poiché in fondo ciò per lei non è più importante: a differenza di Francesca, infatti, ella è destinata alla salvezza eterna.
L'incontro con Sordello da Goito (canto VI, 58-75 e canto VII)
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Virgilio inizia a rispondere citando il suo epitaffio, “Mantua me genuit…”, ma non riesce a completare la frase, perché l’altro si alza e lo abbraccia, riconoscendo la comune origine lombarda. Ciò dà lo spunto a Dante per un’invettiva contro l’Italia, anche perché non si deve dimenticare che nella struttura della Commedia il canto VI è sempre a tematica politica.
Marco Lombardo nel Purgatorio di Dante (canto XVI, 22-145)
Esattamente al centro del Commedia (questo è il cinquantesimo canto) Dante decide di affrontare, tramite il colloquio con Marco Lombardo, un tema di capitale importanza, quello del libero arbitrio. “Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco”: il doppio uso del passato remoto ci suggerisce che il nome con cui l’anima si presenta è uno pseudonimo, tanto che abbiamo difficoltà a stabilirne l’esatta identità .
Dante gli espone un dubbio, ossia gli chiese se la causa della corruzione del mondo sia da imputarsi all’influsso degli astri o alla volontà umana. Marco Lombardo lo accusa di essere cieco (accusa ancora più bizzarra e significativa, dato che l’anima è immersa nel fumo per purificare la sua colpa) e spiega che attribuire la ragione della corruzione al cielo implicherebbe che l’uomo fosse privo del libero arbitrio.
Dio crea l’anima e la pone nel mondo, ma le serve una “guida” o un “fren” per indirizzare correttamente il suo amore; da ciò discende la necessità storica dei re e in particolare dell’impero. “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”: la domanda, a mezzo tra reale e retorica, spiega che la realizzazione della civitas Dei non può avvenire senza la giustizia. Riprendendo il De Monarchia, Dante per voce di Marco Lombardo espone la teoria dei due soli, ossia delle due guide (il Papa e l’Imperatore) che devono guidare il cammino dell’uomo. Se le due guide sono corrotte, è inevitabile che nel mondo domini la corruzione.