Guida all'interpretazioni dei personaggi principali del Purgatorio di Dante: cosa si nasconde dietro ai volti della seconda cantica della Commedia?
Passiamo in rassegna i personaggi principali del Purgatorio di Dante Alighieri, soffermandoci sull’aspetto critico e sul peso che hanno all'interno del poema; consigliamo vivamente di leggere anche il nostro approfondimento sulle figure più importanti dell'Inferno, per avere un'idea più chiara del viaggio dantesco dagli Inferi al Paradiso terrestre.
Ricordiamo, inoltre, tutte le informazioni sulla seconda cantica della Divina Commedia sono disponibili seguendo questo link.
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Catone Uticense all'entrata del Purgatorio (canti I, 28-108 e II, 118, 123)
La severità della figura di Catone Uticense, che Dante e Virgilio per primo incontrano sulla spiaggia, imposta fin da subito un nuovo clima e un nuovo ritmo alla cantica appena cominciata. Egli rappresenta la libertà dello spirito, pronto a purificarsi dalle cose del mondo; a nulla valgono, con lui, i richiami alla moglie Marzia, con cui Virgilio cerca di ammansirlo, poiché egli ribatte che se il viaggio di Dante è voluto da Dio non c’è null’altro da aggiungere, e che Marzia non può più muovere la sua libertà . Allegoricamente ciò significa che chi si è pentito non deve più guardarsi indietro, ma deve proseguire il suo cammino di purificazione.
Per quanto riguarda la figura, è stato giustamente notato che Catone non solo era un pagano, ma anche un suicida (come Virgilio stesso ricorda); tuttavia Dante vuole qui sottolineare lo spirito di Catone e, appunto, il senso della libertà , per dare un segno molto chiaro in un canto interamente impostato sul tema della resurrezione dal male dell’Inferno.
L'incontro con Casella (canto II, 76-117)
Casella è una figura storica di cui non sappiamo molto, per non dire nulla. Egli ci viene rappresentato come amico di Dante, e imprime quindi una nota d’affetto all’avvio della nuova cantica, mettendo il protagonista nella condizione di ritrovare il suo lato più umano; contemporaneamente però, in seguito al rimprovero di Catone, ricorda al lettore che nel cammino di purificazione l’uomo deve lasciare i ricordi che lo legano alla Terra ed esaltare invece il pentimento e la consapevolezza dello spirito.
Casella intona una canzone di Dante, Amor che ne la mente mi ragiona; tale episodio va ricondotto al lungo cammino di consapevolezza iniziato con l’incontro con Francesca da Rimini, poiché il poeta comprende che la nuova poesia della Commedia deve rinunciare all’aspetto della lode dell’amore così presente nella sua prima produzione.
Pia de' Tolomei nel canto V del Purgatorio (vv. 130-136)
La figura di Pia è una gemma incastonata alla fine di un canto che meriterebbe maggiore attenzione, tutto dedicato al tema del corpo. È un’anima dimenticata dalla storia, che chiede solo per sé il ricordo e la preghiera per poter iniziare il suo cammino di purificazione nella montagna del Purgatorio; si noti, però, che la richiesta viene dopo una specificazione attenzione nei confronti del poeta, una nota di gentilezza che occupa ben due dei sei versi totali del suo discorso.
Il suo affetto e la sua cortesia vanno appunto letti in contrasto con la violenza e la forza dei due protagonisti del canto, Iacopo del Cassero e Bonconte da Montefeltro; ma anche, in lontananza, in opposizione a Francesca, che aveva dominato l’avvio dell’Inferno. Anche Pia viene uccisa dall’amore, in circostanze che ci sono poco chiare; eppure riduce la narrazione della sua esistenza a un breve soffio, poiché in fondo ciò per lei non è più importante: a differenza di Francesca, infatti, ella è destinata alla salvezza eterna.
L'incontro con Sordello da Goito (canto VI, 58-75 e canto VII)
Pur essendo il protagonista indiscusso del canto VII, la parte più interessante dell’incontro con Sordello è proprio l’avvio, nel canto precedente, la cui narrazione viene interrotta dall’apostrofe di Dante. Egli è rappresentato come un perfetto magnanimo, dignitoso e pacato sin nell’atteggiamento del primo sguardo. Quando Virgilio e Dante gli si avvicinano per chiedere informazioni sul proseguo del cammino, egli non risponde, ma chiede invece a sua volta informazioni sulla loro nascita e sulla loro vita.
Virgilio inizia a rispondere citando il suo epitaffio, “Mantua me genuit…”, ma non riesce a completare la frase, perché l’altro si alza e lo abbraccia, riconoscendo la comune origine lombarda. Ciò dà lo spunto a Dante per un’invettiva contro l’Italia, anche perché non si deve dimenticare che nella struttura della Commedia il canto VI è sempre a tematica politica.
Marco Lombardo nel Purgatorio di Dante (canto XVI, 22-145)
Esattamente al centro del Commedia (questo è il cinquantesimo canto) Dante decide di affrontare, tramite il colloquio con Marco Lombardo, un tema di capitale importanza, quello del libero arbitrio. “Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco”: il doppio uso del passato remoto ci suggerisce che il nome con cui l’anima si presenta è uno pseudonimo, tanto che abbiamo difficoltà a stabilirne l’esatta identità .
Dante gli espone un dubbio, ossia gli chiese se la causa della corruzione del mondo sia da imputarsi all’influsso degli astri o alla volontà umana. Marco Lombardo lo accusa di essere cieco (accusa ancora più bizzarra e significativa, dato che l’anima è immersa nel fumo per purificare la sua colpa) e spiega che attribuire la ragione della corruzione al cielo implicherebbe che l’uomo fosse privo del libero arbitrio.
Dio crea l’anima e la pone nel mondo, ma le serve una “guida” o un “fren” per indirizzare correttamente il suo amore; da ciò discende la necessità storica dei re e in particolare dell’impero. “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”: la domanda, a mezzo tra reale e retorica, spiega che la realizzazione della civitas Dei non può avvenire senza la giustizia. Riprendendo il De Monarchia, Dante per voce di Marco Lombardo espone la teoria dei due soli, ossia delle due guide (il Papa e l’Imperatore) che devono guidare il cammino dell’uomo. Se le due guide sono corrotte, è inevitabile che nel mondo domini la corruzione.