Ecco un'analisi del testo dettagliata della poesia A Zacinto di Ugo Foscolo: perché in questo caso parliamo di "geografia della memoria"?
L'analisi del testo di A Zacinto non può che partire da queste considerazioni preliminari: parliamo di uno dei dodici sonetti di Ugo Foscolo raccolti nelle Poesie, del 1803; fu composto tra l'agosto del 1802 e i primi mesi del 1803 (come Alla sera). Il titolo è una dedica all'isola di Zante nel mar Ionio, chiamata con il suo nome in greco antico, in cui il poeta è nato; il nome dell'isola viene evocato anche all'interno del testo, al verso 3. Data la brevità del testo, lo riportiamo integralmente per poter analizzarne in modo più agevole gli elementi più interessanti in un commento.
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Il sonetto presenta uno schema rimico ABAB ABAB CDE CED con rime alternate nelle quartine. Le tre negazioni con cui si apre il testo sono un espediente magistrale: sembra quasi che il testo nasca da un bisogno impellente di parlare che viene dopo un lungo silenzio, qui rappresentato appunto dalla negazione coordinante "né"; a questo silenzio segue un flusso di parole, come un'enorme onda che travolge la struttura stessa del sonetto e, senza rispettarne la tradizionale partizione, giunge fino alla prima terzina con la descrizione, o meglio con l'evocazione, dell'isola e di una serie di figure che appartengono al mondo classico, in particolare Venere e Ulisse.
Tutto il testo, per altro, si costituisce come una metaforica isola, segnata nelle quartine da una straordinaria rima in -onde e in -acque, che hanno evidente valore semantico. Il poeta sembra dirci che la sua espressione personale non può avere limiti, è troppo importante rispetto ai vincoli imposti dalla metrica e dalla sintassi, che quindi non si compenetrano in modo regolare.
A Zacinto come "geografia della memoria"
Il testo potrebbe essere un illustre esempio di quella che viene definita "geografia della memoria": ci racconta infatti il modo in cui un luogo può trasformarsi e trasfigurarsi per raccontare il nostro personale vissuto. L'eroe moderno, Foscolo, si paragona con uno dei più famosi eroi antichi, Ulisse, protagonista di un intero poema: di lui qui è colto soprattutto il peregrinare incessante e sfortunato (fama e sventura), che però giunge alfine all'approdo all'isola di Itaca, che viene baciata. Così pure Zacinto attende, quasi come una madre, il suo figlio Foscolo, ma invano: la sua sepoltura non avverrà nel suolo materno, perché il suo esilio è di natura politica e personale e non permette il ricongiungimento simbolico con le origini.
I collegamenti proposti sono del tutto soggettivi e privi di corrispondenza storica; si tratta con tutta evidenza non tanto di un motivo strettamente autobiografico, ma simbolico; il ricongiungimento con le proprie origini è per Foscolo problematico, perché si tratta di avvicinarsi a un classico compreso in tale profondità che non può più essere vissuto nella sua pienezza. Per fare un parallelismo, Foscolo non riuscì mai a portare a compimento la traduzione dell'Iliade perché si rese conto che non ci poteva essere perfetta corrispondenza tra il greco e l'italiano, problema che invece non sfiora minimante Vincenzo Monti. Tuttavia, questo eroe moderno è, nella sua sventura, grande come quello antico.