Riassunto dettagliato del Principe di Machiavelli, con riferimenti puntuali alla struttura e ai temi dell'opera
Il Principe venne scritto da Niccolò Machiavelli, forse di getto, nel 1513: questo riassunto dettagliato vuole offrire non solo una sintesi dei temi ma anche un'analisi della struttura. Partiamo col dire, però, che il testo iniziale venne successivamente modificato, senza però giungere mai a una versione definitiva. Importante per la datazione è la Lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513, in cui Machiavelli afferma: "Io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputanto che cosa è principato, di quale spezie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono".
Prima di Machiavelli esisteva già una tradizione nella trattatistica politica; in genere essi sono ritratti ideali di come deve essere la figura del regnante o del capo. Machiavelli, invece, vuole guardare alla verità , non all’ideale, e per questo indica i mezzi con cui il principe riuscirà a conquistare il suo stato.
Il Principe, struttura e intenti
Il trattato è suddiviso in 26 capitoli, che possono a loro volta essere in alcuni blocchi tematici, come per altro l’autore indica sin dal capitolo uno, che costituisce una sorta di indice generale. I primi undici capitoli analizzano i tipi di principato; dal XII al XIV l’autore prende in considerazione le milizie, e in particolare spiega perché non si debbano usare i mercenari; il corpo centrale, dal XV al XXIII descrive il comportamento del principe; il capitolo XXIV, a sé stante, spiega perché i principi italiani hanno perso i loro stati dopo la discesa di Carlo VIII in Italia (1494); il capitolo XXV analizza il rapporto tra virtù e fortuna e infine il XXVI è un’esortazione a liberare l’Italia.
Il metodo di Machiavelli è innovativo. Sin dal primo capitolo, è il ragionamento, tramite il procedimento dilemmatico, a farla da padrone: l’autore ci mostra il punto di arrivo della sua scrupolosa osservazione della realtà . Il metodo è “empirico”: l’autore verifica i singoli casi, da cui ricava solo in seguito una teoria generale, che quindi non è astratta, ma verificabile sul campo. È importante osservare che per Machiavelli l’esperienza si acquista sia in modo diretto, partecipando personalmente alla vita politica, sia leggendo gli esempi storici che ci vengono forniti dagli antichi. Alla base di questo principio c’è una concezione naturalistica, secondo cui l’uomo è un fenomeno naturale, che non varia nel tempo, e quindi è lo stesso studiare un antico o un moderno. Tutto ciò si può dimostrare per inverso: gli esempi della storia antica ci mostrano chiaramente che l’uomo è sempre lo stesso. Se ne deduce che l’uomo è per natura malvagio, perché oggettivamente è questo che possiamo osservare.
La soluzione dei problemi dell'Italia
Come già anticipato, la teoria politica non può rimanere metafisica, ma si deve basare sulla concretezza storica, che Machiavelli ben conosceva avendo assunto incarichi politici di rilievo. Il punto di partenza per l’analisi è l’osservazione dello stato di crisi in cui versa l’Italia: essa è politica (gli stati sono tutti frammentati), militare (si veda il problema dei mercenari) e morale (a causa della mancanza di valori, di cui soprattutto Roma è responsabile). Per risolvere tale situazione è necessario un principe che riorganizzi la virtù del popolo italiano e costituisca uno stato forte. Si tratta di obiettivi molto concreti e contingenti, che però generano una teoria generale più astratta sul potere e sulla sua natura.
L’importanza di Machiavelli all’interno della trattatistica politica è capitale, tanto che viene considerato il fondatore della moderna scienza politica. Egli infatti slega la politica dalla morale: ciò che è buono in politica può essere cattivo per la morale, e viceversa, come spiega in modo lucido nel capitolo XV:
"Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità […]. Non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà et il bene essere suo".
Il bene dello stato, secondo Machiavelli
Secondo Machiavelli, l’azione politica è autonoma dalle altre scienze, poiché possiede leggi specifiche che non possono essere assimilate a quelle della morale: per il principe, infatti, il “bene” non è quello personale o quello morale, ma il “bene” dello stato, che deve divenire fine ultimo del suo agire. Il bene dello stato è l’utile. Ciò che ci si deve chiedere, se si vuole valutare l’operato di un regnante, è se abbia raggiunto o meno i fini politici, non il modo o i mezzi con cui li ha ottenuti. Machiavelli rivendica orgogliosamente la novità del suo operato, e lo teorizza perché questa è la realtà , cui bisogna sempre attenersi.
L’uomo politico comprende che agisce in mezzo agli uomini e questi, come sappiamo, sono malvagi; quindi non si può agire seguendo l’ideale e la virtù, anche se sarebbe bello poterlo fare. A questi punto si deve distinguere il principe dal tiranno: il principe, infatti, opera a vantaggio dello stato, e si pone come strumento per giungere all’utile; il tiranno invece opera a vantaggio proprio.
Lo stato, oltretutto, è necessario, perché pone un rimedio alla malvagità umana: la perfezione è costituita dalla repubblica, poiché garantisce continuità . Si fonda infatti su istituzioni stabili e inalterate, non sulle doti di uno solo; per questo si deve considerare il principato una forma transitoria.
Il Principe di Machiavelli e il tema della fortuna
Un elemento viene a turbare la logica, ed è la fortuna. La fortuna è un insieme di forza casuali e senza finalità (si può notare a questo punto che Machiavelli non prende in considerazione Dio nel suo discorso, perché se esiste la fortuna non può esistere la provvidenza). L’uomo, tuttavia, può fronteggiare e contrastare la fortuna, trasformandola in occasione, ossia permettendole di stimolare le doti eccezionali che un uomo possiede e che rischiano di rimanere potenziali. Il calcolo e la capacità di previsione diventano quindi essenziali; in alternativa l’uomo può anche “riscontrarsi”, cioè adattarsi, ai tempi; ma si tratta in ultima analisi di una dote non presente nell’uomo.