Quali sono i personaggi principali del Paradiso e che ruolo svolgono all'interno della Divina Commedia? Ecco una guida approfondita
Passiamo in rassegna alcuni dei personaggi principali del Paradiso di Dante Alighieri, soffermandoci sull’aspetto critico e sull’interpretazione, nonché sul ruolo che hanno all'interno della Divina Commedia: ricordiamo che è qui che il viaggio di Dante si conclude ed è qui che il poeta vedrà "l'amor che move il sole e l'altre stelle", cioè Dio, che è luce, ed è fine ultimo del suo cammino (la liberazione dalla "selva oscura", simbolo del peccato).
Prima di iniziare a leggere, però, vi consigliamo questo approfondimento sulla terza cantica del poema e gli interventi che seguono su argomenti che sicuramente vi serviranno per avere un quadro completo di tutta l'opera:
Prima di iniziare a leggere, però, vi consigliamo questo approfondimento sulla terza cantica del poema e gli interventi che seguono su argomenti che sicuramente vi serviranno per avere un quadro completo di tutta l'opera:
La figura di Piccarda Donati (canto III, 34-123)
Piccarda è la prima anima del Paradiso incontrata da Dante, e non si tratta di un caso. Si tratta della sorella del grande amico di Dante, Forese Donati (che per altro gli aveva preannunciato la sua presenza, Pg, XXIV), e s’erano conosciuti in vita: tale incontro suggerisce quindi un avvio, per così dire, soft dei grandi dialoghi che caratterizzano il Paradiso.
La prima parte del colloquio permette al poeta di introdurre una struttura costitutiva della cantica, ossia che le anime gli appaiono nella loro piena bellezza della prima forma, quella voluta da Dio; Piccarda, su richiesta di Dante, spiega poi che, pur essendo beata “in la spera più tarda” non desidera di essere altrove, perché “ogni dove / in cielo è paradiso, etsi la grazia / del sommo ben d’un modo non vi piove”. Vale a dire che i beati non possono desiderare qualcosa d’altro rispetto al volere di Dio, in cui sono pienamente pacificati. Per comprendere questo passaggio, possiamo inventarci una metafora. Un bicchiere e una botte non contengono la stessa quantità d’acqua, eppure sono ugualmente pieni al loro massimo; lo stesso vale per i beati, ciascuno accede a quel grado di beatitudine che è determinato dalla sua possibilità . Il colloquio si chiude con spiegazioni sulla storia di Piccarda e con l’indicazione dell’anima di Costanza d’Altavilla.
La prima parte del colloquio permette al poeta di introdurre una struttura costitutiva della cantica, ossia che le anime gli appaiono nella loro piena bellezza della prima forma, quella voluta da Dio; Piccarda, su richiesta di Dante, spiega poi che, pur essendo beata “in la spera più tarda” non desidera di essere altrove, perché “ogni dove / in cielo è paradiso, etsi la grazia / del sommo ben d’un modo non vi piove”. Vale a dire che i beati non possono desiderare qualcosa d’altro rispetto al volere di Dio, in cui sono pienamente pacificati. Per comprendere questo passaggio, possiamo inventarci una metafora. Un bicchiere e una botte non contengono la stessa quantità d’acqua, eppure sono ugualmente pieni al loro massimo; lo stesso vale per i beati, ciascuno accede a quel grado di beatitudine che è determinato dalla sua possibilità . Il colloquio si chiude con spiegazioni sulla storia di Piccarda e con l’indicazione dell’anima di Costanza d’Altavilla.
Giustiniano nel Paradiso di Dante (canto VI)
Il discorso di Giustiniano occupa l’intero canto VI e risponde a una domanda di Dante del canto precedente (Pd, V, 127). Dopo aver spiegato chi è, Giustiano decide di aprire una digressione per far comprendere a Dante come si sbagliano ugualmente chi “s’appropria” e chi “s’oppone” all’aquila imperiale. L’impero infatti è una necessità storica voluta da Dio, come si può comprendere osservandone con attenzione la sua storia, partendo dalla morte di Pallante (ossia dal mitico arrivo di Enea), passando per tutte le più famose vicende della storia monarchica e repubblicana fino a giungere alla straordinaria figura di Cesare.
L’impero porta quindi la pax necessaria per la nascita di Cristo, avvenuta sotto l’impero del terzo Cesare, ossia Tiberio, che costituisce la vendetta del peccato originale; Tito poi vendicò l’uccisione di Cristo da parte degli Ebrei, distruggendo il tempio di Gerusalemme e dando inizio alla diaspora. Guelfi e Ghibellini, quindi, sbagliano in egual misura, poiché non riconoscono il ruolo dell’impero: i Guelfi si oppongono all’impero preferendogli la casa di Francia, i Ghibellini se ne appropriano rendendolo simbolo di un partito politico. Il discorso si conclude con la spiegazione sulla condizione delle anime del cielo di Mercurio, cui Giustiniano appartiene, e con l’indicazione dell’anima di Romeo di Villanova.
L’impero porta quindi la pax necessaria per la nascita di Cristo, avvenuta sotto l’impero del terzo Cesare, ossia Tiberio, che costituisce la vendetta del peccato originale; Tito poi vendicò l’uccisione di Cristo da parte degli Ebrei, distruggendo il tempio di Gerusalemme e dando inizio alla diaspora. Guelfi e Ghibellini, quindi, sbagliano in egual misura, poiché non riconoscono il ruolo dell’impero: i Guelfi si oppongono all’impero preferendogli la casa di Francia, i Ghibellini se ne appropriano rendendolo simbolo di un partito politico. Il discorso si conclude con la spiegazione sulla condizione delle anime del cielo di Mercurio, cui Giustiniano appartiene, e con l’indicazione dell’anima di Romeo di Villanova.
San Francesco d'Assisi e Dante (canto XI, 43-117)
La figura di Francesco domina il canto XI così come la figura di Domenico occupa il canto XII, ma in effetti i due santi non sono presenti fisicamente nel canto, ma vengono elogiati e “raccontati” rispettivamente da Tommaso d’Aquino e da Bonaventura da Bagnoregio. Dante si trovava probabilmente di fronte a un problema molto pratico nella composizione del Paradiso, ossia che negli ultimi canti avrebbe dovuto dare spazio a un numero molto alto di figure straordinarie, rischiando quindi di oscurarne alcune. Ponendo il racconto della vita dei due santi a circa un terzo della cantica, essi risplendono maggiormente, pur non parlando in prima persona.
Francesco è uno dei due principi che Dio ha mandato per guidare la sua Chiesa; egli è il sole orientale, mentre Domenico è il sole occidentale. Ma mentre effettivamente Domenico era nato in Spagna, ossia nell’estremo occidente del mondo per i medievali, Francesco era nato in Italia; tuttavia, nel ragionamento di Tommaso, bisogna comprendere che “Assisi” deriva da “Ascesi”, cioè nascita, e quindi si può dire che sia nato a “Oriente”, che è il modo più corretto di chiamare la città . Dopo aver raccontato le prime vicende della sua vita, Tommaso si concentra sul rapporto con la povertà ; Francesco è alter Christi, ossia è figura di Cristo, e la sua vicenda rispecchia e richiama quella di Gesù. La sottolineatura della povertà avviene anche nel proseguo del racconto, quando si fa riferimento alle due accettazioni della regola (da parte di Innocenzo III e Onorio III), alle stimmate e poi alla morte.
Francesco è uno dei due principi che Dio ha mandato per guidare la sua Chiesa; egli è il sole orientale, mentre Domenico è il sole occidentale. Ma mentre effettivamente Domenico era nato in Spagna, ossia nell’estremo occidente del mondo per i medievali, Francesco era nato in Italia; tuttavia, nel ragionamento di Tommaso, bisogna comprendere che “Assisi” deriva da “Ascesi”, cioè nascita, e quindi si può dire che sia nato a “Oriente”, che è il modo più corretto di chiamare la città . Dopo aver raccontato le prime vicende della sua vita, Tommaso si concentra sul rapporto con la povertà ; Francesco è alter Christi, ossia è figura di Cristo, e la sua vicenda rispecchia e richiama quella di Gesù. La sottolineatura della povertà avviene anche nel proseguo del racconto, quando si fa riferimento alle due accettazioni della regola (da parte di Innocenzo III e Onorio III), alle stimmate e poi alla morte.
Cacciaguida nel Paradiso di Dante (canti XV, XVI e XVII)
La figura di Cacciaguida domina i canti centrali della cantica, ma gli aspetti più interessanti e più studiati sono quelli trattati nel canto XVII. Dante chiede al suo avo una profezia chiara sul suo avvenire, poiché ha già ricevuto molto segnali che la sua vita non sarà semplice e spera quindi di divenire “tetragono ai colpi di ventura”, ossia come un cubo che non può per sua natura perdere l’equilibrio. Cacciaguida risponde “per chiare parole” e gli dice che sarà esiliato da Firenze e che anzi tale esilio si sta già progettando all’epoca del suo viaggio (cioè nella primavera del 1300).
Dante proverà “sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Gli consiglia inoltre di fare “parte per te stesso”, ossia di non associarsi a nessuna compagnia di esilio, che con la loro violenza non otterranno nulla. Gli confida poi quali saranno i suoi primi rifugi (Bartolomeo della Scala, Cangrande della Scala) e conclude con altre parole che Dante non rivela perché “incredibili”.
A questo punto Dante ha un dubbio: se è vero che avrà bisogno di aiuto durante l’esilio, teme che non sia prudente raccontare tutte le cose che ha visto nel suo viaggio, alcune delle quali poco piacevoli. D’altra parte, se tace, teme “di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico”. Cacciaguida gli dice di rendere “manifesta” tutta la sua visione, perché chi ha la coscienza sporca si sentirà comunque chiamato in causa, anche se ne parla in modo velato. Anche per questo motivo, conclude l’avo, gli sono state mostrate “l’anime che son di fama note”, in modo che il suo racconto sia di esempio. Cacciaguida, in sostanza, investe Dante della missione di scriba dei, ossia di messaggero della volontà divina; d’altronde, nell’idea di Dante, la Commedia stessa era un mezzo per uscire della grave corruzione del suo tempo e per preparare la seconda venuta di Cristo, che ipotizzava come imminente.
Dante proverà “sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Gli consiglia inoltre di fare “parte per te stesso”, ossia di non associarsi a nessuna compagnia di esilio, che con la loro violenza non otterranno nulla. Gli confida poi quali saranno i suoi primi rifugi (Bartolomeo della Scala, Cangrande della Scala) e conclude con altre parole che Dante non rivela perché “incredibili”.
A questo punto Dante ha un dubbio: se è vero che avrà bisogno di aiuto durante l’esilio, teme che non sia prudente raccontare tutte le cose che ha visto nel suo viaggio, alcune delle quali poco piacevoli. D’altra parte, se tace, teme “di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico”. Cacciaguida gli dice di rendere “manifesta” tutta la sua visione, perché chi ha la coscienza sporca si sentirà comunque chiamato in causa, anche se ne parla in modo velato. Anche per questo motivo, conclude l’avo, gli sono state mostrate “l’anime che son di fama note”, in modo che il suo racconto sia di esempio. Cacciaguida, in sostanza, investe Dante della missione di scriba dei, ossia di messaggero della volontà divina; d’altronde, nell’idea di Dante, la Commedia stessa era un mezzo per uscire della grave corruzione del suo tempo e per preparare la seconda venuta di Cristo, che ipotizzava come imminente.