Riassunto dettagliato del Cinque Maggio di Alessandro Manzoni: guida ai temi e alla struttura metrica del componimento
Il cinque maggio di Alessandro Manzoni è un'ode di diciotto strofe di senari scritta in onore della morte di Napoleone, avvenuta nell'isola di Sant'Elena, su cui si trovava in esilio, il 5 maggio 1821. Manzoni scrisse il testo quasi di getto, nel giro di tre o quattro giorni, appena venne a conoscenza della notizia, alcuni mesi dopo il fatto (date le comunicazioni del tempo, si venne a sapere della morte dell'ex imperatore nel luglio dello stesso anno). L'ode ebbe subito un'ampia diffusione, tanto che addirittura già nel 1822 Goethe la tradusse in tedesco, a testimonianza di una fama non solo italiana ma di più ampio respiro europeo.
Il metro è, come già anticipato, la strofa di senari, rimanti secondo lo schema ababax: per convenzione, infatti, i versi sdruccioli (qui tutti i dispari) rimano tra loro, il secondo e il quarto verso rimano tra loro, l'ultimo, tronco, rima con quello della strofa seguente. Già nel metro Manzoni vuole rendere l'idea di una forte mobilità e di un ritmo sostenuto.
La poesia si può dividere in alcune sezioni: strofe 1-2, lo stupore dell'Europa alla notizia della morte di Napoleone; strofe 3-4, la posizione dell'autore rispetto alla vicenda napoleonica; strofe 5-10, la storia vittoriosa di Napoleone, con il ricordo delle principali imprese, dell'incoronazione imperiale e dei suoi successi; strofe 11-14, Napoleone sconfitto riflette sulla propria esistenza; strofe 15-18, il ruolo della Provvidenza nell'intera vicenda.
Il tema storico nel genere poetico
Alessandro Manzoni tenta, con quest'opera, di dedicarsi alla poesia della storia, ossia di affrontare il tema storico all'interno del genere poetico. A guidarlo, in modo preliminare, è la sua convinzione, esposta nella Lettera sul Romanticismo, che "la poesia e la letteratura in genere debba proporsi [...] il vero per soggetto", ossia non debba costruire in modo fantasioso, ma si debba dedicare alla storia, a ciò che è realmente avvenuto, integrando eventualmente con la fantasia tutto quanto non può essere ricostruito.
Allo stesso modo, la poesia deve avere "l'interessante per mezzo", ossia deve impiegare gli strumenti della religione e tralasciare, ad esempio, la mitologia. La prospettiva religiosa è particolarmente evidente nel Cinque maggio, laddove l'intera esperienza napoleonica viene ricostruita non tanto per fini storici, quanto per dimostrare la grandezza di Dio: come si evince nella parte finale del testo, infatti, anche la più straordinaria delle creature della modernità , Napoleone, che si era erto ad arbitro tra "due secoli, / l'un contro l'altro armato", il Settecento e l'Ottocento, ha dovuto in punto di morte piegare il capo di fronte al potere di Dio, e farsi trasportare da Dio, lasciandosi andare.
La prospettiva religiosa
Tutta la sua esistenza, dominata dall'azione (come sottolineano i numerosi verbi presenti in tutto il testo) è costretta alla stasi nella sua fase finale, e lì attende il giudizio finale di Dio. In particolare, mentre al verso 31 l'autore si chiede "Fu vera gloria?" e sostiene che solo i posteri potranno emettere "l'ardua sentenza", nel finale la domanda trova una risposta molto diversa. Al verso 96, infatti, afferma che la gloria "passò": che sarebbe come rispondere "no" alla domanda del verso 31, ossia quella di Napoleone non fu vera gloria, poiché la sua gloria è nulla di fronte alla salvezza della sua anima. L'intera esistenza e l'intera vicenda di Napoleone vengono qui impiegate per spiegare un concetto capitale: Dio ha mandato sulla terra questa straordinaria creatura per farci capire quanto sia grande la sua potenza e quanto sia necessario affidarci a lui per potere ottenere la vera salvezza, quella dell'anima.
La prospettiva religiosa non potrebbe essere più evidente di così: il valore ultimo della poesia è didattico e morale per tutti i lettori, e non solamente una presa di posizione su una vicenda su cui per altro l'autore si era tenuto lontano già in vita: "il mio genio", infatti, vide "lui folgorante in solio", e tacque; Manzoni vuole infatti sottolineare che non si era unito al coro di chi aveva lodato vanamente Napoleone nei suoi più grandi successi (forse una stoccata anche a Vincenzo Monti, su cui non si era mai espresso in modo esplicito), né a quello dei detrattori dopo il fallimento del suo ritorno. Complessivamente, Manzoni non nutre particolari simpatie per il personaggio, però ritiene che la sua grandezza sia per gli uomini motivo di riflessione; vuole quindi provare a capire il valore ma anche il limite della sua esperienza. Ricostruendo il passato, anche recente, egli ritiene di poter capire in modo più consono il presente e di attuare inoltre una riflessione complessiva sulla storia.