Il nostro confronto tra ciclo bretone e ciclo carolingio: un riassunto sulla differenza fra temi, forme e stili, per superare brillantemente i compiti in classe e le interrogazioni
Nell'ottica di un confronto dettagliato, vediamo oggi i principali punti di contatto e le sostanziali differenze tra ciclo bretone e ciclo carolingio. Teniamo presente che i due cicli, sebbene vengano generalmente ricondotti ad una generica e nebbiosa idea di “eroico” e di “cavalleresco”, conobbero profonde differenze, a cominciare dall'à mbito di produzione e circolazione: “à mbito” è da intendersi sia in senso diafasico sia in senso diatopico. In questo riassunto sui due cicli cercheremo di rendere conto di queste particolarità , per farvi superare col massimo dei voti un'interrogazione o un compito in classe: il nostro scopo - come saprete senz'altro - è essenzialmente didattico.
Mettiamo il caso che oggi fossimo in grado di costruire una macchina del tempo e che con questa ci volessimo catapultare nel dodicesimo secolo, all'epoca di vezzose dame e ardimentosi cavalieri, per sentire dalla viva voce di quei remoti cantori, o leggere da autentici rotoli di pergamena, le memorabili saghe che ci sono state tramandate in differita di una decina di secoli: ci troveremmo nella scomoda situazione di dover scegliere se assistere alla performance di un cantastorie popolano che nella piazza principale del borgo, di fronte ad uno sgomitante pubblico, narra di come i saraceni abbiano sbaragliato a tradimento le truppe di Carlo Magno e ucciso il suo adorato nipote, o se infiltrarci di sottecchi nella camera di una castellana, intenta a leggere della travolgente passione di Tristano per la candida Isotta. E sì! Perché la prima cosa che è bene imparare di tutta la faccenda è che mentre i romanzi del ciclo bretone (o ciclo arturiano, o materia di Britannia) vennero stesi da veri e propri scrittori e nell'accezione che diamo noi oggi al termine, ebbero come destinatario il pubblico colto e semi-colto della corte, in ispecie della Bretagna e della Normandia, i poemi del ciclo carolingio (o materia di Francia) furono pane per cantastorie e giullari che durante feste cittadine e altre occasioni, in mezzo a saltimbanchi e giocolieri, dovettero interfacciarsi con un pubblico popolare poco o per nulla dotto.
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Ma è giunto il momento di articolare il discorso come si deve, focalizzandoci sulle sempre efficaci categorie di forma e contenuto.
Confronto tra ciclo bretone e carolingio: differenze tra temi e forme
Come anticipato, le due materie trassero nutrimento da rispettivi nuclei tematici, ed è da questo assunto che partiremo per un confronto tra ciclo bretone e ciclo carolingio. Il primo raccolse le imprese compiute da Carlo Magno, il nipote Orlando (o Roland), i suoi paladini e una serie di sovrani precedenti e successivi allo scopo di costruire una narrazione di ampio respiro dell'Impero carolingio, ideologicamente orientata verso l'esaltazione. A colpire particolarmente l'immaginario dei cantori fu l'episodio sopraccitato della disfatta di Roncisvalle, da collocare nel più largo quadro bellico di fine nono secolo che vide il sovrano francese, sospinto da uno spirito cattolico di Reconquista, muoversi contro il califfato arabo-spagnolo; la vicenda divenne il soggetto della più celebre Chanson de Roland. Va segnalato che le sorti del ciclo narrativo che ha per protagonista Orlando, dopo essere rimbalzate da un cantore all'altro per circa quattro secoli, finirono nelle mani di uno scrittore italiano, Matteo Maria Boiardo scrittore dell'Orlando Innamorato, e quivi restarci per almeno mezzo secolo, quando la palla passò a Ludovico Ariosto, genitore dell'Orlando Furioso (ovviamente in un contesto culturale profondamente mutato dall'originale chanson de geste).
Il ciclo bretone, d'altro canto, abbracciò leggende e miti celtici alla base della cultura britannica, nonché i momenti principali della storia mitologica delle due isole, e in particolar modo le vicende di Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda: l'amore di Tristano e Isotta, la ricerca del Santo Graal, le leggende su Merlino e la mitica spada Excalibur, le avventure della Fata Morgana, i destini di Perceval e Galvano. Contrariamente al ciclo carolingio, i canoni etico-estetici dei poemi facenti capo al ciclo bretone ammetterono l'intrusione di temi fantastici - come interventi magici, inserti onirici o apparizioni di creature immaginarie - amorosi ed ero*ici (si pensi alla vicenda adulterina di Ginevra e Lancillotto), mentre i temi religiosi ed epici risultarono decisamente ridimensionati, se non elisi.
Nonostante ciò i due cicli condivisero il medesimo gusto per l'avventura, il viaggio e la battaglia oltre che un sistema di valori parzialmente sovrapponibile che vede, in entrambi i casi, in cima alla gerarchia l'onore, la lealtà e in un certo qual modo l'amore (per la patria in un caso, per una donna nell'altro). Come suggeriscono i due nomi poi, ciclo bretone e ciclo carolingio furono entrambi soggetti a processi di ciclizzazione: i personaggi, gli avvenimenti e le tematiche trascesero il singolo testo e migrarono per decenni – per materiali di più smaccata fortuna si parla addirittura di secoli – in opere di autori diversi, fino a formare delle vere e proprie saghe.
La lingua e lo stile: differenze tra ciclo carolingio e ciclo bretone
Entrambi furono scritti in lingua d'oil, e con questa proposizione esauriamo i punti in contatto tra le due forme. Perché se il ciclo carolingio trovò piena espressione nel genere della chanson de geste, il ciclo bretone si declinò nel genere del romanzo cortese; e i due generi non potevano essere più diversi. Il primo, assunse uno stile poetico e versificato, altamente formulaico: concepito per l'esecuzione pubblica e la continua reinterpretazione del cantastorie di turno, venne coscienziosamente infarcito di formule fisse, esornative, patronimici ed epiteti densamente ricorrenti per facilitarne la memorizzazione. Nel secondo prevalse invece uno stile prosaico, romanzesco, che dal verso virò rapidamente in direzione di una più compiuta prosa, e venne indirizzato verso una lettura di tipo privato.
Al contrario del primo, il romanzo cortese permise l'istituzione della figura autoriale, cioè la condensazione delle scelte formali, stilistiche e tematiche attorno alla persona dell'autore, tale da ammettervi una progressione di temi e stili, un avanzamento poetico e un continuo avvicendamento di scelte estetiche, paralleli al completamento della sua opera (termine usato volutamente al singolare, ma che si riferisce al complesso delle sue opere). Questo perché gli autori del romanzo del ciclo bretone erano soliti apporvi la firma, conferendo così all'opera quella paternità severamente negata alla chanson de geste, che era concepita per tramandare i valori identitari di una comunità e pertanto doveva apparire come prodotta dall'intera comunità , a suo uso esclusivo e garantito (si pensi a Chretien de Troye).
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In quest'ottica possiamo riconsiderare l'uso e gli scopi di un linguaggio fortemente ritualizzato: non soltanto per fini pragmatici (ricordarsi le rime e i versi) si uniformavano parti considerevoli del testo poetico ad un modello sotteso e inespresso, comune a tutte le chanson de geste, ma anche e soprattutto per marcare il proprio pubblico, selezionandolo implicitamente; il codice linguistico veniva quindi “cifrato” per assicurare che solo chi fosse appartenuto ad una data comunità e solo chi fosse stato avvezzo alla tradizione a cui si ispirava il poema, avesse potuto “decifrarlo” e, fuor di metafora, godersi lo spettacolo. Così se il cantastorie avesse detto “Carlo Magno” il pubblico, prima di ricevere ulteriori stimoli, sarebbe stato in grado di completare il riferimento, accostandogli un sempre valido “il prode”.
Ora avete tutti gli elementi necessari per un bel confronto tra ciclo carolingio e ciclo bretone: le differenze sono chiare e i punti di contatto, pure. Buono studio!
La foto è tratta da Pixabay.com
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In quest'ottica possiamo riconsiderare l'uso e gli scopi di un linguaggio fortemente ritualizzato: non soltanto per fini pragmatici (ricordarsi le rime e i versi) si uniformavano parti considerevoli del testo poetico ad un modello sotteso e inespresso, comune a tutte le chanson de geste, ma anche e soprattutto per marcare il proprio pubblico, selezionandolo implicitamente; il codice linguistico veniva quindi “cifrato” per assicurare che solo chi fosse appartenuto ad una data comunità e solo chi fosse stato avvezzo alla tradizione a cui si ispirava il poema, avesse potuto “decifrarlo” e, fuor di metafora, godersi lo spettacolo. Così se il cantastorie avesse detto “Carlo Magno” il pubblico, prima di ricevere ulteriori stimoli, sarebbe stato in grado di completare il riferimento, accostandogli un sempre valido “il prode”.
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