Amare oltre i limiti imposti dalla società, senza badare ai pregiudizi, senza risentimenti e sensi di colpa frustranti; amare liberamente...
Amare oltre i limiti imposti dalla società, senza badare ai pregiudizi, senza risentimenti e sensi di colpa frustranti; amare liberamente, come, quando e dove vogliamo: questo è ciò che pretendiamo: un amore totalizzante, libero da schemi e vincoli. Eppure, ci uniformiamo a ciò che la società vuole, perché ci fa tremendamente paura il giudizio degli altri.
I fatti di tutti i giorni non fanno altro che confermare che nella nostra società l'amore è bloccato da freni inibitori, che si sono formati pian piano, dal tramonto dell'Antica Grecia alla nascita del Cristianesimo, fino alla sua completa diffusione; è innegabile che la nascita della religione cristiana abbia limitato l'uomo in questo senso, imprigionandolo, per esempio, nello schema del matrimonio, oppure nella convinzione che ogni rapporto sessuale pre-matrimoniale sia sinonimo di peccato. Un colpo alla libertà di amare, quindi. Ma non è l'unico.
L'omosessualità che oggi è condannata dalla Chiesa e non solo, per esempio, in Grecia era qualcosa di assolutamente naturale, persino un privilegio. A quell'epoca, infatti, gli adulti avevano il compito di iniziare i giovani adolescenti maschi all'età adulta, attraverso un numero considerevole di rapporti sessuali: il più anziano aveva un ruolo dominante in queste situazioni, per mostrare al più giovane chi è che comandava e aveva in sé la virtù; dall'altra parte, il più piccolo doveva accettare volentieri, come se questa sottomissione fosse il più grande degli onori, una rivelazione di grandi valori.
L'adolescente poteva anche rifiutare il corteggiamento di un uomo, ma questo significava rinviare il suo passaggio da una fase dell'età all'altra. Dopo la fine di questo 'tirocinio' per la nobile età adulta, tra il vecchio e il giovane si veniva a creare un forte vincolo di amicizia, che, prescindendo dal piacere del rapporto sessuale, si fondava, invece, su veri sentimenti e rispetto reciproco.
E le donne che ruolo avevano in questa società maschilista? Venivano considerate alla stregua degli schiavi, così come le concepiva Aristotele: 'contenitori' utili solo e soltanto a ricevere il seme delle vita, il 'genio' del maschio greco. Erano degli oggetti, niente di più niente di meno. Friedrich Nietzsche ci dà un chiaro disegno di questa particolare società nell'aforisma 259, Una civiltà di uomini, da Umano troppo Umano:
I rapporti ero*ici degli uomini coi giovani erano, in un grado non accessibile alla nostra comprensione, il necessario e unico presupposto di ogni educazione virile [...]. I giovani non sono stati mai più trattati così attentamente, così amorevolmente, con un così assoluto riguardo al loro bene [...]. Quanto più altamente venivano intesi questi rapporti, tanto più in basso scendevano le relazioni con la donna. Il punto di vista della procreazione dei figli e della voluttà - nient'altro veniva preso in considerazione, quanto alla donna; non c'erano rapporti intellettuali, neppure una vera e propria relazione amorosa [...]. Le donne non avevano altro compito che quello di generare corpi belli e pieni di forza, in cui si perpetuasse il più integramente possibile il carattere del padre, e di contrastare così la crescente sovreccitazione nervosa di una civiltà tanto altamente sviluppata.
Ma anche le donne ebbero la loro rivalsa grazie alla poetessa Saffo dell'isola di Lesbo. Sì, loro amarono solo se stesse, non più gli uomini arcigni. Infatti su quest'isola, pullulante di sole donne, vennero create scuole dove, dopo aver imparato a vivere in una comunità, anche loro venivano iniziate all'età adulta attraverso pratiche sessuali, ovviamente omosessuali.
Ma gli Antichi Greci si limitavano in un certo senso, visto che credevano che l'amore per donne e schiavi non avesse nulla di nobilitante. La nostra è una società diversa, ma di certo non migliore. Ne esisterà mai una, non perfetta, ma almeno migliore?