Francesco Guicciardini e Nicolò Macchiavelli a confronto: guida alla stesura di un saggio breve o un tema, o alla preparazione di una interrogazione, sull'argomento. Quali sono le differenze tra i due autori del Rinascimento?
Spesso si prova a tracciare un confronto tra Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, in quanto si tratta di due autori legati alla trattatistica in prosa di tematica politica vissuti più o meno nella stessa epoca, ossia il Rinascimento italiano.
Un confronto sensato, ai fini di un saggio breve, di un tema o di una semplice interrogazione, si può condurre confrontando alcuni punti del loro pensiero, dato che le differenze di tipo formale, come il fatto che uno scriva un trattato e l'altro degli aforismi, sono piuttosto evidenti.
Un confronto sensato, ai fini di un saggio breve, di un tema o di una semplice interrogazione, si può condurre confrontando alcuni punti del loro pensiero, dato che le differenze di tipo formale, come il fatto che uno scriva un trattato e l'altro degli aforismi, sono piuttosto evidenti.
Il primo punto che possiamo analizzare è la concezione della storia. Machiavelli ritiene che la storia si ripeta, poiché gli uomini non cambiano e quindi si comportano sempre in modo uguale nel corso dei secoli; la storia è quindi maestra di vita (Historia magistra vitae), ciò significa che studiando la storia è possibile ricavare delle leggi di funzionamento dell'uomo che hanno un valore universale e che sono applicabili in tutte le situazioni. Un modo per conoscere la realtà è quindi quello di studiare la storia antica, poiché i suoi esempi sono per i contemporanei un punto di riferimento e costituiscono un modello da imitare nella situazione presente: Machiavelli pensa infatti che l'esperienza si maturi sia attraverso la conoscenza del presente, sia attraverso il rapporto diretto con i classici.
Secondo Guicciardini, invece, non è possibile ravvisare leggi di funzionamento nella storia, poiché la realtà è frammentaria (per questo sceglie, nei Ricordi, una forma di espressione breve) e priva di razionalità. Non ha senso, quindi, ipotizzare dei modelli assoluti per comprendere la realtà, né tantomeno cercare di controllare gli eventi attraverso delle leggi ripetibili. Ne consegue, naturalmente, che la storia romana non ha alcun valore esemplare per la conoscenza del presente.
L'uomo e le forme di governo in Guicciardini e Machiavelli
La concezione dell'uomo dei due autori è conseguente. Machiavelli ritiene che l'uomo sia malvagio e che sia portato in modo naturale a soddisfare i suoi interessi, egoistici e materialistici. Tale condizione, ovviamente, non cambia nel corso della storia. Possiamo per tanto dire che la sua è una concezione del tutto pessimistica. Tuttavia, Machiavelli è convinto che l'uomo sia in grado di dominare la fortuna attraverso la propria virtù, soprattutto ponendo degli argini al corso casuale degli eventi: si tratta di una posizione pienamente coerente con l'Umanesimo.
Più morbida l'idea di Guicciardini, secondo cui gli uomini sono portati più al bene che al male, ma si lasciano facilmente deviare dal bene a causa della loro fragilità. D'altra parte, però, Guicciardini crede la fortuna abbia un grande potere sulla vita delle persone, e che abbia un peso ben più rilevante, rispetto a Machiavelli, nel determinare l'esito degli eventi.
Si può concludere confrontando l'ideale politico dei due autori. Per Machiavelli la forma più alta, e per questo preferibile, di organizzazione dello Stato è la repubblica; nella situazione attuale dell'Italia, però, la repubblica non sarebbe in grado di imporsi senza la presenza di un principe che, in maniera transitoria, crei una forma di governo forte. Dal lato opposto, Guicciardini ritiene che le forme di governo democratiche siano meno stabili e giuste di quelle di tipo oligarchico, o persino della monarchia.