Riassunto dettagliato e commento della novella La roba di Giovanni Verga: guida semplice e immediata ai temi principali
La roba è una delle più famose delle Novelle rusticane, una raccolta di Giovanni Verga del 1883, in cui l'autore indaga, con una prospettiva pessimistica, la campagna siciliana, le persone che la abitano e le situazioni che si vengono a creare. Nella raccolta, così come nella novella che stiamo analizzando, emerge appunto un senso amaro che supera la visione presente nei Malavoglia e anticipa piuttosto quella del romanzo successivo, Mastro don Gesualdo.
Nel primo romanzo, infatti, i protagonisti opponevano, alla logica del paese e del coro che li osservava, il valore della famiglia, la superiorità dei sentimenti e dell'unità al mero interesse economico; nella novella invece, come vedremo meglio, nulla di tutto ciò esiste più: addirittura il protagonista, Mazzarò, rimpiange di avere speso poche monete per far seppellire la madre, e ci viene presentato come un personaggio che non ha nulla, se non la sua roba.
La "roba", appunto, è il termine più ripetuto nel testo, tanto da renderne quasi superfluo il titolo; l'iterazione rende in modo significativo l'ossessione di Mazzarò per il possesso di oggetti e l'accumulo di ricchezza. Nella prima parte della novella si evoca un fantomatico viaggiatore, che chiedendo a chi incontra a chi appartiene tutto ciò che vede scoprirebbe che si tratta della roba di Mazzarò. La prospettiva iniziale sembra quindi introdurre un eroe, un titano della ricchezza, su cui il viaggiatore potrebbe fantasticare. In realtà il protagonista è un uomo che, nell'aspetto fisico, è assolutamente comune, anzi piccolo di statura (un "omiciattotolo"), ma che è dotato di una testa "che era un brillante".
L'accumulo di roba e i nuovi borghesi
Nel proseguo del racconto il narratore, perfettamente eclissato, elogia la capacità di accumulare roba con ogni mezzo da parte del protagonista, tanto da farlo diventare più ricco del marchese locale. Si tratta quindi di uno dei nuovi borghesi, che si fa da solo, per dir così, e riesce a fare la propria fortuna con le proprie mani e con la propria intelligenza, non sulla base di meriti ricevuti, come nel caso della nobiltà . Mazzarò in effetti non comprende le abitudini nobili, che sono antiproduttive e che, con la loro mancanza di logica, hanno portato il marchese a dover vendergli tutto. Commenta quindi: "la roba non è di chi ce l'ha, ma di chi la sa fare".
Nella sua visione rozza e primitiva, priva di logiche famigliari o civili, Mazzarò ritiene ingiusto anche il pagamento delle tasse, che gli portano via una piccola parte della sua fortuna, dimostrando quindi di non comprendere le più elementari logiche della vita civile e sociale. Questa esaltazione lo porta a desiderare un controllo persino sulle forze della natura, come per altro già anticipato all'inizio del racconto, quando il narratore osserva che "pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel bosco".
La roba, il finale della novella come disinganno
Proprio nel brevissimo finale tale prospettiva giunge alla sua drammatica conclusione: in punto di morte Mazzarò si rende conto che tutta la roba che ha accumulato non potrà seguirlo nella tomba ed esce quindi nell'aia nel disperato tentativo di uccidere le anatre e i tacchini. Se dal punto di vista delle persone o del narratore questo gesto è ridicolo e mostra la bassezza del protagonista, da un altro punto di vista il suo gesto è drammatico: non è possibile controllare la natura, tanto meno la morte, e l'intera vita di Mazzarò è stata spesa, con mille sacrifici e privazioni, per qualcosa che alfine egli non può godersi e che drammaticamente gli sopravvive, pur non appartenendogli più.
Come è evidente, non esiste più la logica dei Malavoglia: l'eroe è solo perché ha voluto essere solo e non ha compreso che la famiglia può costituire un nucleo di salvezza parziale. È cambiato però il punto di vista dello stesso Giovanni Verga, che ormai è interessato solo alla descrizione delle logiche bestiali della campagna siciliana.