Confronto tra Pascoli e d'Annunzio per saggi brevi, temi o interrogazioni sui due poeti: ecco le differenze e le analogie sui grandi rappresentanti del Novecento italiano
Questo confronto tra Pascoli e D'Annunzio vi tornerà senz'altro utile per un tema approfondito sul Decadentismo: ci troviamo, infatti, dinanzi ai protagonisti indiscussi di questo importante periodo della letteratura italiana, in realtà un movimento di più ampio respiro europeo.
Giovanni Pascoli e Gabriele d'Annunzio vengono comunemente studiati e considerati in parallelo, anche per questioni di natura cronologica, essendo più o meno contemporanei (in realtà l'opera di d'Annunzio si sviluppa lungo un arco temporale molto più ampio, dovuto un particolare alla sua eccezionale precocità e alla sua longevità ). Sono due personalità molto diverse; da una lato l'eccentrico esteta alla ricerca del mito di se stesso, dall'altro il professore chiuso e ossessionato dalla quiete domestica.
Di certo, entrambi vanno considerati, come già si diceva, all'interno del Decadentismo, però un confronto tra loro rende subito evidenti che le analogie sono poche, quanto meno se si va a prendere in considerazione l'aspetto più superficiale e tangibile della loro scrittura; le ragioni profonde, invece, sono più facilmente osservabili in parallelo.
L'esempio più evidente è dato dal punto di maggiore differenza tra i due. Pascoli, infatti, parla nella sua poetica di un fanciullino, che è dentro ciascuno di noi e che è il luogo della poesia, delle cose più care e intime, l'osservatore dei particolari che si stupisce mentre guarda la realtà .
Si tratta di un'idea molto lontana dal superuomo di d'Annunzio, una figura che egli deriva da una cattiva lettura, traduzione e interpretazione del pensiero del filosofo Nietzsche. Quest'ultimo, infatti, parlava nei suoi scritti di un übermensch, cioè di un "oltreuomo" (secondo la lettura di Vattimo) in grado di essere al di sopra della morale, poiché reale interprete del concetto di bene e di male, animato dalla volontà di potenza, ossia dal desiderio (volontà , appunto) di dire sempre "sì!" alla vita e di vivere in potenza. D'Annunzio banalizza tutto ciò, e il suo superuomo diventa un uomo super, che fa tutto quello che vuole senza farsi molti problemi. Le due figure, fanciullino e superuomo, sembrerebbero agli antipodi; se non che, leggendo attentamente Pascoli, si scopre che non tutti sono in grado di sentire il fanciullino dentro di sé e di lasciarlo parlare, ma solo i poeti sono in grado di farlo. Come a dire: che sia fanciullino, che sia superuomo, solo il poeta è una creatura superiore alle altre, che sa esprimere il proprio io nella piatta società di massa (qui risiede infatti la grande differenza con la poesia crepuscolare di Gozzano e Corazzini, o anche con le affermazioni di Aldo Palazzeschi).
L'esempio più evidente è dato dal punto di maggiore differenza tra i due. Pascoli, infatti, parla nella sua poetica di un fanciullino, che è dentro ciascuno di noi e che è il luogo della poesia, delle cose più care e intime, l'osservatore dei particolari che si stupisce mentre guarda la realtà .
Si tratta di un'idea molto lontana dal superuomo di d'Annunzio, una figura che egli deriva da una cattiva lettura, traduzione e interpretazione del pensiero del filosofo Nietzsche. Quest'ultimo, infatti, parlava nei suoi scritti di un übermensch, cioè di un "oltreuomo" (secondo la lettura di Vattimo) in grado di essere al di sopra della morale, poiché reale interprete del concetto di bene e di male, animato dalla volontà di potenza, ossia dal desiderio (volontà , appunto) di dire sempre "sì!" alla vita e di vivere in potenza. D'Annunzio banalizza tutto ciò, e il suo superuomo diventa un uomo super, che fa tutto quello che vuole senza farsi molti problemi. Le due figure, fanciullino e superuomo, sembrerebbero agli antipodi; se non che, leggendo attentamente Pascoli, si scopre che non tutti sono in grado di sentire il fanciullino dentro di sé e di lasciarlo parlare, ma solo i poeti sono in grado di farlo. Come a dire: che sia fanciullino, che sia superuomo, solo il poeta è una creatura superiore alle altre, che sa esprimere il proprio io nella piatta società di massa (qui risiede infatti la grande differenza con la poesia crepuscolare di Gozzano e Corazzini, o anche con le affermazioni di Aldo Palazzeschi).
Il tema della Natura tra Pascoli e d'Annunzio
Ne consegue un diverso approccio rispetto al tema della natura. Se per d'Annunzio la natura partecipa della trasformazione del superuomo, che si fonde in lei in quello che definiamo il contatto panico, per Pascoli la natura è a volte assoluta protagonista della poesia: essa va conosciuta, chiamata con nomi precisi, poiché dire il nome implica la conoscenza della cosa stessa. La natura nasconde infatti misteri profondi, che si possono conoscere solo attraverso operazioni analogiche che richiamano molto le idee di Baudelaire e ovviamente del simbolismo francese. Così pure, mentre la donna è quasi del tutto esclusa dalla poesia di Pascoli (se non in figure quasi mitiche, come possono essere le due amiche della Digitale purpurea), in d'Annunzio ella è protagonista, oggetto vagheggiato di desiderio, che si fa ispiratrice del canto e si fonde pure con la natura nel panismo.
Lo stile di d'Annunzio e Pascoli a confronto
Una nota, infine, sulla forma. Entrambi gli autori cercano di sperimentare nuove strade in poesia, ma volendo essere sintetici potremmo dire che d'Annunzio si concentra più su una sperimentazione fonica, sulla possibilità cioè che la lingua esprima sensazioni attraverso una musicalità spinta del verso; Pascoli, invece, mette in campo una sperimentazione a più ampio raggio, che comprende da un lato la lingua (si pensi al plurilinguismo di Italy), dall'altro le forme metriche e di verso, con il recupero ad esempio del novenario, poco usato nella metrica italiana fin dalla censura di Dante Alighieri.