Il ruolo e la figura di Brunetto Latini nella Divina Commedia: riassunto del XV canto dell'Inferno in cui compare uno dei personaggi più importanti della cantica
Oggi spiegheremo come Brunetto Latini sia stato inserito nella Divina Commedia da Dante Alighieri, facendo riferimento alla sua importanza letteraria (e non solo). Partiamo dalle basi: con alterne vicissitudini, Virgilio riesce a condurre Dante al di fuori della selva oscura, fino alla scarpata lambita da un rivolo infernale. Chiudete gli occhi, immaginatevi il panorama, calatevi nei panni ormai logori del Sommo Poeta tra i miasmi e i fumi che si alzano dalle fetide acque stagnanti. Ci riuscite? Scorgete in basso - proprio lì, a ridosso dell'argine - una torma di anime smarrite, agitate, cozzanti?
Aguzzando un po' la vista e l'immaginazione, ravvisate un'anima tra le tante che il fuoco tormenta ergersi al di sopra del mucchio, guardare verso di voi con espressione attonita che ne deforma i tratti già sufficientemente grotteschi, fare cenni affinché lo riconosciate? No? Beh, come biasimarvi! Così ridotto, perfino Dante ebbe fatica a distinguerlo. E dopo la fatica sopraggiunse la pena: una pena indescrivibile nell'apprendere che la condizione di un suo caro amico è una delle peggiori in assoluto. Ecco, il personaggio che vi presentiamo oggi è Brunetto Latini, padre spirituale e mentore di Dante, confinato nella fossa dei sod*miti dal suo stesso allievo per la sua presunta omosessualità.
Approfondisci: leggi il nostro speciale sui personaggi più importanti dell'Inferno dantesco
Aguzzando un po' la vista e l'immaginazione, ravvisate un'anima tra le tante che il fuoco tormenta ergersi al di sopra del mucchio, guardare verso di voi con espressione attonita che ne deforma i tratti già sufficientemente grotteschi, fare cenni affinché lo riconosciate? No? Beh, come biasimarvi! Così ridotto, perfino Dante ebbe fatica a distinguerlo. E dopo la fatica sopraggiunse la pena: una pena indescrivibile nell'apprendere che la condizione di un suo caro amico è una delle peggiori in assoluto. Ecco, il personaggio che vi presentiamo oggi è Brunetto Latini, padre spirituale e mentore di Dante, confinato nella fossa dei sod*miti dal suo stesso allievo per la sua presunta omosessualità.
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Brunetto Latini nella Divina Commedia: "Qual meraviglia!"
La meraviglia è la cifra stilistica dell'incontro tra Dante e Brunetto Latini nel canto quindicesimo della Commedia, una meraviglia che coinvolge entrambi i personaggi seppur con sfumature molto diverse.
Dante, dritto sul bordo dello scolo, compie un movimento discendente di testa e spalle per poter riconoscere in primis e poi interloquire con il dannato; Brunetto è invece costretto a rivolgere il capo verso l'alto e, in questa posizione innaturale e scomoda, richiamarne l'attenzione dando uno strattone al lembo della sua veste. Una raffigurazione plastica di due corpi che non stonerebbe come soggetto di un complesso scultoreo e che rende, attraverso la semplice descrizione di opposte posture e una messinscena di piccoli gesti, un universo di significati.
La meraviglia di Brunetto è piena e folgorante: mai si sarebbe aspettato di vedere in quel luogo e con così largo anticipo il suo amico, per lo più in carne ed ossa in un regno di spiriti incorporei votati alla dannazione. L'impressione di Dante d'altro canto è carica di amarezza e di nostalgia, uno stupore lacerante e gravido di strazio; perché Brunetto fu per lui anzitutto una figura paterna che, ancora desta alla memoria nella sua forma più piena e aggraziata, riaffiora con affetto e riconoscenza tra le righe degli insegnamenti civili e morali che negli anni gli ha trasmesso. Il contrasto di emozioni si mantiene attivo per tutto il canto, trascolorando in un insistito e malcelato imbarazzo.
Approfondisci: leggi i nostri temi svolti su Dante per superare brillantemente i compiti in classe
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Dietro a tale teatralizzazione di sentimenti intrecciati a mo' di chiasmo si nasconde il dissidio ben più sentito tra Dante-uomo e Dante-autore. Il primo si limiterebbe ad esaltare le qualità umane di Brunetto e sorvolerebbe con immenso piacere sul peccato di sodomia che tuttavia il secondo non può non rilevare. Avendo in proposito di scrivere un'opera morale e moralizzatrice, Dante non può in alcun modo lasciarsi trasportare dal sentimentalismo, né discostarsi per mollezza di spirito dalla visione metafisica ed etica proposta dal Cristianesimo. Pertanto accorda un'indulgente compassione per il suo maestro e le parole che gli rivolge mantengono una soffusa deferenza per tutto il dialogo ma, nonostante ciò, non cede mai alla tentazione di soffocare la condanna verso uno stile di vita sostanzialmente riprovevole agli occhi del Dio del Testamento. Un compromesso ragionevole, cucito addosso ad una persona speciale che ebbe un ruolo essenziale nell'educazione di Dante, ma che si mostrò altero al cospetto dell'infinita sapienza divina, ovvero foriero di un'ideologia che mai si aprì alla prospettiva escatologica cristiana (nemmeno in punto di morte; altrimenti sarebbe stato messo nel Purgatorio con gran soddisfazione del Sommo Poeta).
La profezia di Brunetto Latini nella Divina Commedia
Con parole infiammate d'ira contro i suoi compaesani, anche Brunetto, come già Ciacco qualche canto prima e due cantiche dopo Cacciaguida, fa la sua profezia.
Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,
ti si farà, per tuo ben far, nimico;
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,
ti si farà, per tuo ben far, nimico;
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.
[…]
Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
s’alcuna surge ancora in lor letame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
s’alcuna surge ancora in lor letame
(Inf. XV vv. 61-66; vv. 73-75)
Al contrario delle altre anime vaticinanti, Brunetto non svela a Dante ripiegamenti futuri troppo significativi o spettacolari ma si limita a rassicurarlo circa il buon esito della sua vicenda terrena e spirituale ma a condizione che continui a seguire la sua buona stella. Qui Dante non asseconda la tentazione di mettere in bocca ad un personaggio di rilievo parole fulgide o profezie post eventum (dal momento che nemmeno lui, al momento in cui scrive l'Inferno, è in grado di conoscere quale sarà la sorte del suo esilio) ma dà voce alle sue più recondite speranze di spuntarla sulla parte politica che lo aveva bandito dalla città, e mette per iscritto i tentativi di autoconvincimento circa la rettitudine della strada che ha perseguito.
Soffermiamoci per un minuto sull'aggettivo fiesolane con cui Dante per bocca di Brunetto bolla le bestie compaesane. Dietro a questo termine è sottintesa un'idea derivativa peculiare, che vede all'origine del popolo fiorentino la commistione di due razze molto differenti: i civilissimi romani stanziati ai piedi del colle di Fiesole e i primordiali fiesolani che ne abitavano la vetta. Rei di aver parteggiato per Catilina durante la sua congiura (ordita contro l'ordine pubblico per questioni di rivalsa personale e rapidamente sventata da Cicerone), i fiesolani subirono la devastante vendetta dei romani, con la loro città messa a ferro e fuoco. Da tale unione sarebbe poi discesa una razza di fiorentini che, presi singolarmente, avrebbero conservato in maniera più o meno marcata i tratti di una o dell'altra stirpe. Dante recupera tale spiegazione eziologica dalla produzione trattatistica dello stesso Brunetto e si presenta come appartenente all'ultima generazione della progenie romana, una razza eletta, con tratti genetici superlativi, ma in netta minoranza numerica rispetto alla progenie fiesolana (quella colpevole di aver esiliato Dante). La profezia diventa quindi occasione di celebrazione del suo lignaggio familiare e della superiorità morale sui suoi contemporanei.
Approfondisci: impara la letteratura italiana con i riassunti di Linkuaggio
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Il Tresor di Brunetto Latini: nella Divina Commedia una promessa mantenuta
In una visione tutta umana della fama e delle modalità con le quali l'uom s'etterna Brunetto conclude il colloquio con Dante raccomandandogli il suo libro, il Tresor. In esso, refrattario fino in fondo alla rivelazione divina, Brunetto ha riposto tutte le speranze circa un possibile rimedio all'oblio e alla morte. Dante è polemico verso questo assegnamento di ruolo alla letteratura (una concezione peraltro riscontrabile nei classici): l'ingegno e la sensibilità artistica devono essere poste al servizio di Dio e ai suoi scopi, per dichiararne la grandiosità dei propositi e delle norme, e non fungere da salvacondotto per un'alternativa tutta umana di eternità, Paradiso o Campi Elisi, che dir si voglia. Va infine notato che Dante mantiene a tutti gli effetti la promessa che il suo retore gli ha strappato: è infatti grazie alla Divina Commedia che un'opera come il Tresor ha potuto fare breccia in generazioni di lettori, aggiungendo il proprio nome a quell'altare di opere consacrate che ad ogni buon studente non è consentito di ignorare.
Come avete visto, Brunetto Latini nella Divina Commedia è un personaggio di spicco: occhio a studiare bene questa parte della cantica infernale, perché sicuramente sarà oggetto di interrogazioni e compiti in classe.
La foto è tratta da Pixabay.com
Come avete visto, Brunetto Latini nella Divina Commedia è un personaggio di spicco: occhio a studiare bene questa parte della cantica infernale, perché sicuramente sarà oggetto di interrogazioni e compiti in classe.
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