Riassunto del rapporto e del percorso di Dante e Virgilio nella Divina Commedia, dall'Inferno dei dannati al Purgatorio delle anime penitenti, fino alle soglie del Paradiso terrestre
Con questo riassunto dettagliato sul rapporto fra Dante e Virgilio nella Divina Commedia vogliamo proporvi un punto di riferimento scritto per ricordare il percorso del poeta e della sua guida dall'Inferno delle anime dannate al Purgatorio delle anime penitenti, dove i due - come saprete senz'altro - si lasciano: la scena è commovente, e ve ne parliamo proprio alla fine. Veniamo subito al dunque, perché l'argomento è uno dei più importanti della Commedia dantesca ed è inutile perdersi in chiacchiere.
Virgilio, la guida per eccellenza. Il merito di tale accostamento antonomastico è da attribuire con certezza a Dante Alighieri, che l'ha investito in tale ruolo nelle prime due cantiche della sua Commedia. E così, tra un girone della buca infernale e una cornice del Purgatorio, il padre dell'Eneide illustra a Dante la struttura del cosmo, dipana le questioni teologiche più spinose e lo sbroglia dai lacci ingannevoli che lo tengono ancorato alla superficie terrestre: ammonisce ed esorta, raccomanda e rimprovera: si tratta, insomma, di una figura paterna con cui dialogare e confrontarsi, la chioccia paziente che protegge il pulcino ancora implume dai pericoli del mondo. Ma è pure un genitore, un capo, un maschio alfa da superare in grandezza e - perché no! -, con le forze sufficienti, uccidere.
Una via di fuga dalla selva oscura: Virgilio all'Inferno
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Chi non conosce queste celeberrime terzine? E chi non sa che a trarre d'impaccio il Poeta, a schermirlo dalle tre fiere assetate di sangue, fu proprio Virgilio? Partiremo proprio da queste per proseguire con il riassunto del rapporto fra Virgilio e Dante nella Divina Commedia: in attesa di un veltro (leggendario cane da caccia) che liberi definitivamente la selva incasinata e fosca (ovvia metafora per la società coeva a Dante) dagli orridi vizi della superbia, della lussuria e della cupidigia, Virgilio si propone come provvidenziale via di fuga da quel postaccio infestante oltre che come assennato ripiego per un Dante smarrito e indifeso.
E poi lo catapulta nell'oscuro regno dell'oltretomba e degli eterni dannati. E laggiù, fuori e dentro le mura della città di Dite, Virgilio è un'autorità indiscutibile, un boss dai muscoli tesi, che con un accenno di rimprovero o uno sguardo asseverato comanda e gestisce, ammansisce mostri e fa filare drittamente i dannati. Andate con la mente all'episodio del mostruoso Minosse o, se la memoria v'inganna, ai versi 17-24 del canto V - che riporto per comodità .
[...]
Disse Minos a me, quando mi vide,
Lasciando l’atto di cotanto ufizio,
«Guarda com’entri, e di cui tu ti fide:
Non t’inganni l’ampiezza dell’entrare».
E il duca mio a lui: «Perchè pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
Vuolsi così colà dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare».
(vv. 17-24 canto V Inf.)
I due si ritrovano di fronte a Minosse - il “portiere” dell'Inferno - nello svolgimento delle sue mansioni (l'atto di cotanto uffizio). Egli indirizza le anime al girone infernale a cui sono assegnate sulla base del peccato che hanno commesso e lo comunica facendo ciondolare la coda un numero di volte pari al medesimo. Quando gli si para innanzi un uomo in carne ed ossa, sgomento, ferma quella catena di montaggio così ben oliata e protesta per l'apparente vizio di forma al quale Virgilio vorrebbe indurlo; non c'è bisogno che vi ricordi della straordinarietà del viaggio che Dante sta intraprendendo, giacché mai nessun uomo vivo e vegeto aveva messo piede in un regno metafisico, ad eccezione forse proprio dell'eroe virgiliano in Eneide 6 (se vogliamo dare fede a chi aveva in mente tutt'altro tipo di oltretomba). Ma Virgilio lo rimbecca con pronta risposta: è stato Dio (presentato con l'ampia perifrasi colà dove si puote ciò che si vuole, ovvero “là dove si ottiene tutto ciò che si vuole” e, per metonimia, chi risiede in questo alto luogo) a desiderare quel viaggio, in quel momento e in quelle circostanze, e su un provvedimento divino non c'è da discutere. Di esempi così l'Inferno abbonda.
Gran parte della perentorietà del comando - è vero - deriva dall'autorità di chi lo ha formulato, e perciò dall'Onnipotente; ed è altresì vero che Virgilio, con estrema umiltà , si appoggia a quell'altissimo magistero per sbrigare la faccenda con massima rapidità . Bisogna però ammettere che le parole taglienti e misurate del Duca trasudano un'appuntita autorevolezza non conferitagli soltanto dalla carica di Guida che temporaneamente calza come fosse una toga, quanto piuttosto dal simbolo che nel sistema armonico e ragionato della Divina Commedia rappresenta: la ragione umana; è infatti la ragione che permette all'uomo a districarsi nel folto ramoso della società corrotta fin nelle radici, ed è ancora la ragione che gli permette di comprendere il meccanismo di peccati e punizioni, le cavillose leggi del contrappasso come quelle della logica, le azioni con le reazioni. Sempre la ragione ha permesso a Virgilio, sommo maestro dei tempi che furono ma fondamentalmente ignorante della rivelazione cristiana, insieme a tanti altri intellettuali pagani, di distinguersi dal mucchio di anonimi peccatori doloranti e macilenti, per scontare in un luogo un po' più appartato e un po' più morbido l'intollerabile lontananza che lo separa dalla visione diretta di Dio, che gli preclude lo stato di grazia e beatitudine.
La ragione va castigata: Virgilio nel Purgatorio
Può un vate come Dante, conscio della grandezza della sua poesia e dell'originalità della sua visione del mondo, porsi passivamente ad un modello di intellettuale preesistente e, per giunta, pagano? Certo che no. Ancora una volta il genio di Dante costruisce la propria identità nell'ambito della cristianità e del nuovo sentire che una religione del cuore come quella cristiana impone.
Ben conscio dei limiti della ragione umana in un contesto di rinnovata e autentica religiosità , il Poeta proietta sul personaggio di Virgilio la finitudine dell'emblema a cui è idealmente associato. Già dal primo canto del Purgatorio incontriamo infatti un Virgilio profondamente diverso: disorientato, impacciato e vagamente languido. A più riprese Dante-personaggio suggerisce l'idea di un seppur parziale ribaltamento dei ruoli, per la quale Virgilio si fa allievo e Dante ammonitore. Di fatti la ragione non può cingere in alcun modo la vastità del sentimento cristiano, e si mostra straniata ed irrequieta di fronte a dogmi come quello della Trinità , ai miracoli di Gesù, alla bellezza immotivata che sta dietro ad un atto di perdono. Si tratteggia così l'immagine di un intellettuale, sì dignitoso e spettabile, ma fiaccato nello spirito e risentito per una prospettiva di felicità che il Padre Eterno gli nega.
Come prima, mi permetto di indicare una serie di passi significativi che esplichino il concetto meglio di molte parole. Mi riferisco ai vv. 10-12, 37-39 e 61-63 del canto III del Purgatorio, e più in generale della sua prima metà .
Dopo aver descritto il rallentamento del passo di Virgilio a seguito di una breve e necessaria corsa, corredandolo di un giudizio morale vagamente impudente (fa notare che tanta celerità toglie autorevolezza), Dante si rappresenta nell'atto di fissare il terreno per cercare l'ombra della sua Guida. Non trovandola e dimentico del fatto che Virgilio non possiede un corpo che proietti ombra, permette che lo assaliscano l'ansia e il senso d'abbandono. Virgilio coglie il turbamento nei suoi occhi e attacca un discorso per tranquillizzarlo e insieme metterlo in guardia circa i limiti della ragione umana; il discorso risulta però eccessivo, logorroico, sproporzionato al contesto che lo aveva suscitato. Inoltre, finita la sua orazione, appare come turbato e accigliato: ecco che l'opinione del poeta mantovano perde un altro po' della rilevanza che aveva nella cantica precedente! Quando poi i due giungono ai piedi del monte del Purgatorio, Virgilio si mostra vulnerabile e disorientato; è infatti incapace di trovare un varco che permetta ai due di inerpicarsi. Dante si spazientisce e per un momento si erge a guida della sua Guida: su sua proposta chiederanno consiglio ad una torma di anime che stanno venendo loro incontro. Queste le parole per nulla ossequiose che gli rivolge:
«Leva», diss' io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».
(vv. 61-63 canto III Purg.)
Dante e Virgilio alle soglie del Paradiso Terrestre
Terminiamo il nostro riassunto sul rapporto fra Dante e Virgilio nella Commedia con uno stralcio bellissimo del Purgatorio dantesco. Lo scavalcamento definitivo avviene a fine cantica, quando la guida di Virgilio cede il passo a quella di Beatrice. Al Vate pagano nemmeno è permesso di addentrarsi nel Paradiso e i due sono costretti a congedarsi prematuramente. Ed è in questo preciso momento che Dante si lascia indietro Virgilio, superando allegoricamente l'intera mole di insegnamenti trasmessi da lui e dagli autori classici. A lui solo è infatti riservato il privilegio di vedere Dio, e alla sua opera quella di essere assurta al rango di “divina”; a Virgilio tocca stare in panchina.
Di seguito, il passo della commuovente separazione dei due. Dante avverte la presenza di Beatrice giacché ogni goccia di sangue nel suo corpo è in subbuglio; ed è con il cuore che batte all'impazzata che si volge in direzione della sua Guida, per comunicargli quelle stesse sensazioni estatiche che quasi lo stanno rapendo e magari ricevere il tanto accorato sprone che mai gli aveva negato, ma Virgilio non c'è più. Il lirismo di Dante è così affinato che il lettore sperimenta la medesima tetra e nauseante meraviglia che assale il suo personaggio nel momento in cui apprende che la mano amica, che per tanta parte di viaggio lo aveva condotto con premura, è svanita:
Tosto che ne la vista mi percosse
l'alta virtù che già m'avea trafitto
prima ch'io fuor di püerizia fosse,
volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto,
per dicere a Virgilio: 'Men che dramma
di sangue m'è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l'antica fiamma'.
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die'mi;
(vv. 40-51 canto XXX Purg.)
Poi subentra Beatrice, che in nessun momento gli farà rimpiangere Virgilio (anche se il ricordo rimarrà sempre dolce). L'amore si libera così dalla rete di lusinghe carezzevoli alla quale una dottrina pagana l'ha abituato, e così fa la poesia: insieme si assiepano lassù, nello spazio etereo, a gustarsi la visione appagante di Colui che muove il sole e le altre stelle.
Il nostro riassunto su Dante e Virgilio nell'Inferno e nel Purgatorio della Divina Commedia si conclude qui: avete tutti gli strumenti per fare un bel tema e una bella interrogazione, quindi occhio a ripetere tutto adeguatamente!
La foto è tratta da Pixabay.com
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