Analisi e commento dell'Infinito di Leopardi: questo riassunto dettagliato vi aiuterà a sostenere interrogazioni e compiti in classe senza timore
Vi presentiamo, oggi, un'analisi della poesia L'infinito con relativo commento, affinché possiate prepararvi nel migliore dei modi per interrogazioni e compiti in classe. Partiamo come sempre dalle basi e cioè col ripetere che L'Infinito è un testo poetico di Giacomo Leopardi, contenuto nei Canti. Dobbiamo anche far subito una precisazione: L'infinito è uno dei testi più straordinari e complessi della letteratura di tutti i tempi; su questa poesia sono stati scritti moltissimi saggi e monografie, e quindi le osservazioni che si possono fare sono estremamente numerose e varie (voi, comunque, tenete sempre presente le nostre spiegazione e parafrasi per comprenderlo almeno nei suoi punti base). Il nostro riassunto - per questo motivo - può essere un'ottima guida e un punto di partenza, ma ci raccomandiamo di integrare questo schema con gli appunti del vostro insegnante.
L'Infinito è collocato in XII posizione nei Canti; Leopardi l'ha composto a Recanati nel 1819, ed è stato pubblicato per la prima volta nel 1826 e poi in tutte le edizioni dei Canti. Fa parte degli Idilli, ossia di testi intimi che propongono un colloquio con la natura e con gli elementi del paesaggio, in un'atmosfera raccolta e riflessiva. Potremmo definire l'idillio come una visione (e questo è un elemento importante da tenere ben a mente per un commento e un'analisi scritti od orali sufficienti dell'Infinito) Leopardi stesso definisce il testo "un'avventura storica dell'animo mio", vale a dire un'esperienza mentale che egli ha vissuto, una riflessione di ordine generale scaturita da un'esperienza specifica, collocabile in un tempo (il 1819) e in uno spazio (il colle Tabor, vicinissimo a casa Leopardi). È importante l'anno, perché colloca il testo all'interno di una riflessione ancora positiva sul ruolo della Natura nella vita dell'uomo, differente dalle evoluzioni successive del pensiero leopardiano.
L'Infinito è collocato in XII posizione nei Canti; Leopardi l'ha composto a Recanati nel 1819, ed è stato pubblicato per la prima volta nel 1826 e poi in tutte le edizioni dei Canti. Fa parte degli Idilli, ossia di testi intimi che propongono un colloquio con la natura e con gli elementi del paesaggio, in un'atmosfera raccolta e riflessiva. Potremmo definire l'idillio come una visione (e questo è un elemento importante da tenere ben a mente per un commento e un'analisi scritti od orali sufficienti dell'Infinito) Leopardi stesso definisce il testo "un'avventura storica dell'animo mio", vale a dire un'esperienza mentale che egli ha vissuto, una riflessione di ordine generale scaturita da un'esperienza specifica, collocabile in un tempo (il 1819) e in uno spazio (il colle Tabor, vicinissimo a casa Leopardi). È importante l'anno, perché colloca il testo all'interno di una riflessione ancora positiva sul ruolo della Natura nella vita dell'uomo, differente dalle evoluzioni successive del pensiero leopardiano.
Analisi del testo e commento: cenni metrici, struttura e contenuto dell'Infinito leopardiano
I versi sono endecasillabi sciolti; sono quindici, uno in più di un sonetto classico. Alcuni commentatori rilevano alcune assonanze finali (ad esempio ai vv. 4 e 5, ai vv. 8, 9 e 11), ma non c'è un sistema di rime.
Potremmo innanzitutto dividere il testo in due parti. In un primo momento (vv. 1-8) il protagonista è il senso del presente, una dimensione esterna al poeta, nel senso che non è da lui controllabile. Tale dimensione diventa interna nella seconda parte (vv. 8-15), nel momento in cui la riflessione personale affonda nell'infinità, che va appunto concepita come dimensione interiore, privata, seppure universale per sua natura.
A fare da cerniera tra le due esperienze, ma in un certo senso a dare anche il via all'esperienza intima e universale dell'infinito, è il vento, che giunge inaspettato: Leopardi ci spiega che è il vento a dare la scintilla per il confronto tra il presente e l'eternità, tra il presente e il passato (e di conseguenza, l'antichità, che come ben sappiamo è la componente fondamentale della riflessione poetica di Leopardi).
Potremmo suddividere ulteriormente le due parti in due metà, ottenendone quindi quattro. Nella prima parte (vv. 1-3) domina la riflessione sul bello: l'hortus conclusus di casa Leopardi è bello da sempre, secondo un'abitudine dell'io poetico a raccogliersi lì. La fictio, cioè l'immaginazione di cosa può esserci oltre il limite visivo della siepe, è un'esperienza abituale per Leopardi, un'esperienza che egli ha già provato più volte, come sottolinea l'uso indefinito dei gerundi, su cui poi torneremo. È la chiusura a generare la riflessione, la chiusura del limite che impone all'immaginazione di andare oltre, di provare a scoprire come superare il limite stesso: la scelta non è quella ovvia e banale del movimento fisico, ma quella del movimento mentale.
In un secondo momento (vv. 4.8) inizia l'avventura mentale del soggetto, e la riflessione sulla componente dello spazio: secondo Blasucci, è in questa sezione che incontriamo i cosiddetti "segnali dell'infinito", vale a dire termini e locuzioni che ci rimandano, per via allusiva, al senso dell'infinito: l'uso di verbi alla forma indeterminata ("sedendo e mirando"), l'uso di coppie di termini che tendono ad allungare la struttura del verso, largo uso dell'enjambement, impiego di termini che rimandino a questa dimensione, anche per una via del tutto cerebrale: dall'ovvio "interminati" del v. 4 al più complesso "ermo" del v. 1. In una nota, infatti, Leopardi riflette sull'origine greca del termine, e ritiene che si tratti di una parola poetica per la vastità dell'idea che esprime.
Ma continuiamo con il commento e l'analisi dell'Infinito. Nella terza parte (vv. 8-13) il vento, come dicevamo, spinge alla riflessione sul tempo: ad aiutarci sono in questo caso gli aggettivi dimostrativi (questo, quello) usati ampiamente per definire i termini della comparazione. Tali aggettivi dimostrativi sottolineano, come in un gioco di rimbalzi, il progressivo espandersi dell'esperienza intellettuale e mentale, dal dato concreto (la siepe, il vento) al dato immaginario (il pensiero delle "morte stagioni", l'infinito stesso). Così pure, Leopardi insiste su sensazioni che provengono da tutti i canali sensoriali: la vista, l'udito, persino il tatto. In questo senso capiamo che l'idillio non è solo una visione, ma un'esperienza complessiva, di portata globale per il soggetto. Negli ultimi tre versi abbiamo l'epilogo: si giunge al sublime, ossia all'esperienza terrificante della bellezza sovraumana, un tipo di emozione e di sensazione che è tipicissima della poesia Romantica tedesca (poesia che pure Leopardi disprezzava).
Approfondisci: leggi i nostri riassunti di letteratura italiana per preparare le interrogazioni
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Riflessioni finali sull'Infinito di Leopardi
Potremmo definire questo idillio come uno straordinario compenso alla noia: l'esperienza personale dell'infinito genera una sorta di piacere mentale che annulla gli effetti devastanti della noia per l'uomo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l'idillio non è solo un racconto personale di un'esperienza privata, ma ambisce a farsi riflessione di carattere generale e universale, valida per tutti gli esseri umani. Per concludere con le idee che Leopardi stesso esprime nello Zibaldone, potremmo dire che l'uomo non desidera conoscere, ma sentire infinitamente, perché si tratta della dimensione unica in cui può agire l'immaginazione.
Con questo riassunto dettagliato potete cominciare immediatamente lo studio del testo di Leopardi e prepararvi così all'interrogazione: abbiamo cercato di consegnarvi un commento e un'analisi dell'Infinito chiari e accessibili, affinché possiate spiegare con semplicità un testo così importante.
La foto è tratta da Pixabay.com